Martin procede all'ispezione della casa del Professor Battirani, una bella villetta bifamiliare in quel di Torre, circondata da piante di gelsomino fiorito. Tra una citazione di Horkheimer e la scoperta di un immaginario scientifico di tutto rispetto, Martin si ricorda di essere sempre stato "nemico dei numeri"
La scienza elevata agli altari
La
scienza elevata agli altari.
Esattamente questo era l’incipit del secondo capitolo del
manoscritto del Professore. Martin stabilì che il luogo più adatto
per leggerselo fosse proprio la casa di Battirani.
Decise
quindi di attivare immediatamente Leo.
“
Fammi capire. Mi stai
chiedendo se puoi accompagnarmi, o meglio se ti posso accompagnare, a
fare un sopralluogo a casa del Professore, perché tu possa
accomodare le tue natiche sul divano del suo salotto e leggertelo
dove è stato concepito?”
Proprio
così
“ Ma
tu sei tutto scemo!”
Anche
questa era un’opinione che molte persone avrebbero trovato
plausibile ed assolutamente condivisibile.
“ E
cosa gli racconto ai miei superiori? Solo nei telefilm è possibile
che i poliziotti portino sui luoghi delle scomparse delle persone
esterne. Di solito sono dei medium o interlocutori di fantasmi. Tu a
che categoria appartieni?”
“ A
quella di coloro che non guardano ‘ste stronzate in tv. Dai sali in
macchina. Chi vuoi che venga a controllare con chi vai a fare un
sopralluogo. Battirani non ha parenti e ai vicini non dobbiamo
mostare distintivi come fanno nei polizieschi americani. E poi scusa,
non ho il fisique du role per fare l’esperto della scientifica?
Guarda
ho anche questi pregevoli occhiali da sole….” - disse Martin che
per un nanosecondo aveva accarezzato la malsana idea di tingersi i
capelli di rosso come Horatio Caine della serie CSI Miami, suo
personale idolo in quella frazione, e solo in quella, di secondo.
Leo
scrollò la testa. Entrò nella macchina di servizio e ingranò la
marcia.
Arrivarono
in poco tempo al quartiere di Torre, dove era situata la casa dei
Battirani. Il quartiere era il più antico insediamento del
territorio comunale,con resti di una villa romana e il medievale
castello dei Conti di Ragogna che vi infondeva la sua benevola ed
austera influenza.
Quella
calda giornata tardo primaverile invogliava a fare una passeggiata
piuttosto che a rinchiudersi in casa. L’abitazione del Professore
era una piccola villetta bifamiliare circondata da odorose piante di
glicine e gelsomino che si adagiavano pacificamente su una mura
bianca in calce viva. All’interno del giardino si vedeva un piccolo
tavolinetto sempre bianco ed in ferro battuto, circondato da quattro
cinque sedie nello stesso stile. Martin, probabilmente ispirato dalla
gran calura, si immaginava Battirani lì seduto che conversava
amabilmente, sorseggiando qualche bibita con gli amici. Ma quanti e
quali amici avrà avuto il Professore? Da quando era scomparso la
loro preoccupazione più grande era stata quella di cercare di
ricostruire la sua vita quotidiana, ma oltre alla testimonianza di
Agata e quelle affettuose di conoscenti ed ex alunni o colleghi, non
erano riusciti a ritrovare nessuno che potesse definire un amico
stretto di Battirani. Che fosse stata anche questa una delle cause
della sua improvvisa sparizione?
Martin
e Leo entrarono dal cancello principale e passarono all’interno del
piccolo porticato che conduceva all’ingresso dell’abitazione. Nel
mentre, dal balcone di una casa attigua, si affacciò una presunta
vicina. Presentava sicuramente caratteristiche interessanti e degne
di essere approfondite. Leo lanciò un’occhiata a Martin.
“
Vai pure a fare il tuo
lavoro” – disse Martin, conciliante – “ sicuramente avrà
delle notizie interessantissime da darti. Tranquillo, qui ci penso
io. In bocca al lupo.”
“
Crepi “ – sussurrò Leo e
quindi procedette impettito e marziale verso la casa della vicina.
Martin lo udì pronunciare un cordiale e simpatico “Buongiorno”
con voce impostata e decisamente troppo sonora. Scosse la testa e
aprì la porta d’ingresso.
La
frescura che trovò all’interno lo sorprese piacevolmente. Si
asciugò con una mano i rivoli di sudore che gli scorrevano copiosi
lungo la fronte e iniziò a guardarsi intorno.
Era
tutto meno polveroso di quanto avesse immaginato: evidentemente Agata
aveva fatto un buon lavoro. Nonostante questo a Martin sembrava di
sentire un tipico odore di legno e qualcos’altro di indefinibile
che secondo lui avvolgeva le case d’antan. Ovviamente l’arredamento
non lasciava nessuna concessione alla modernità, ma traspariva un
po’ ovunque il gusto e la ricerca per l’ordine e la sobrietà.
Martin iniziò a trotterellare senza metà, non sapendo bene cosa
cercare e dove guardare. Era sicuro che i colleghi di Leo avessero
già fatto un ottimo lavoro e quindi evitò accuratamente di svolgere
la tipica perquisizione. Era in caccia di sensazioni, particolari
curiosi o inconsueti che riteneva gli avrebbero fatto capire meglio
la personalità o le motivazioni di Battirani. Quindi si avvicinava e
osservava attentamente tutte quelle cose che attiravano la sua
attenzione, cercando di interrogarle ed ottenere qualcosa.
Vide
su una parete alcuni quadretti con delle immagini sacre e questo lo
turbò.
Magari
erano della moglie, si disse. Non riusciva a capacitarsi, non si sa
bene per quale motivo, che una persona di scienza, e quindi, per
assioma, razionale, potesse avere anche dei convincimenti religiosi.
A Martin pareva un controsenso. Come se fosse stata una cosa proibita
o in qualche modo contronatura.
Si
diresse poi verso il salotto, nel quale stazionava una gigantesca
libreria che lo attirava magneticamente.
Prima
di arrivarci però c’era da superare una difficile tentazione: una
grande, e sicuramente accogliente e confortevole poltrona.
Martin,
notoriamente sportivo, non ce la fece a resistere e si fece
fagocitare da quel seducente artifatto in pelle.
Ah…
comodità assoluta.
“ Si
suppone che tu sia venuto qui per lavorare, non per fare il
fannullone spaparanzato in poltrona! “ – intervenne la sua
virtuosa vocina interna
“
Non si potrebbe avere anche
un drink? “ – la interruppe la sua omologa un po’ più cinica.
Martin
decise che era ora di proseguire nella lettura. Estrasse quindi dalla
valigetta che si era portato appresso il consueto bustone giallo
ocra.
Dove
eravamo rimasti? Ah già!
La
scienza elevata agli altari
E’
impossibile stabilire a priori quale parte la scienza giochi nel
progresso o nel regresso della società: i suoi effetti da questo
punto di vista sono negativi o positivi come è la funzione che essa
assume nell’andamento generale del processo economico
(Max
Horkheimer)
Le
esaltanti e sino a pochi anni fa impensabili scoperte scientifiche
applicate ai processi di produzione e di consumo sempre più
personalizzati, la globalizzazione del mercato, con il conseguente
aumento della libertà di impresa e dell’efficienza produttiva
(rapida espansione della capacità di azione delle aziende, aumento
della qualità e riduzione dei costi di diversi prodotti) avrebbero
potuto ingenerare la “mitica” chimera che siamo sulla strada del
benessere, della felicità, della cultura…
Ma
al contario la vertiginosa evoluzione del XX secolo mostra
chiaroscuri sospetti, ambigui contorni, direzioni ambivalenti.
Tanto
da risultare problematici e spesso contraddittori ad una lettura
interpretativa.
Basti
pensare alle infami strumentalizzazioni della scienza da parte della
tecnica, secondo la logica (perversa) dell’asservimento delle
nobili finalità della ricerca ai profitti di ogni genere da essa
derivabili.
La
logica inaccettabile – così cara alla logica formale, che confonde
i mezzi con i fini – di una scienza che avrebbe dovuto “reggere
il mondo” e garantire un “sicuro progresso” portava già in sé
i germi della sua decadenza; in quanto non teneva, umilmente, in
debito conto che alla lunga distanza si sarebbe dimostrata incapace
di gestire le conseguenze delle sue applicazioni e di calcolarne gli
effetti, non di rado devastanti.
Si
insegni, piuttosto, sin dai primi anni della scuola di base, che
abbiamo ancora bisogno di stupirci del dono della vita, la quale va
amata e rispettata in ogni forma di biodiversità.
Già
la scienza… Possibile che la casa di uno scienziato non avesse
neanchè qualche attrezzo scientifico?
La
curiosità fu più forte della naturale pelandronite, che Martin
violentò il suo istinto più profondo e si rimise in piedi, pronto a
nuove ed entusiasmanti indagini.
Nei
classici libri il laboratorio dello scienziato, possibilmente pazzo,
si trova di prassi nel misterioso sottoscala.
Martin
vi si diresse immediatamente, trovandovi solamente alcune notevoli
bottiglie di vino pregiato e svariati esemplari di ragni.
Sarebbe
restato estremamente appagato dei risultati della ricerca se avesse
indagato sulla scomparsa di un entomologo o se il padrone di casa
fosse stato presente e gli avesse offerto un assaggio del prezioso
liquido. Non essendo soddisfatta nessuna delle due condizioni, Martin
rifece, a fatica, le scale e ritorno al punto di partenza con la coda
tra le gambe.
Se
avesse avuto un po’ più di pazienza Martin avrebbe scoperto che il
Professore aveva stabilito il proprio piccolo laboratorio nella
stanza attigua al salotto e si sarebbe risparmiato la faticosa
discesa (e risalita) agli inferi del sottoscala che poi si
sostanziava in scalini cinque.
Arrivato
finalmente a destinazione iniziò ad esaminare con sguardo vigile i
vari scaffali.
Con
piacere si stupì di riuscire a ricordare ancora i nomi degli arnesi
che vedeva davanti ai propri occhi: il primo che inquadrò lo fece
sorridere. Era una beuta, un recipiente a forma di imbuto rovesciato,
quindi svasato sul fondo. A Martin ritornarono in mente i semplici
esperimenti di chimica che aveva svolto durante le ore di scienze nel
periodo liceale. Un giorno, maneggiando una beuta, lanciò uno
sguardo alla compagna di classe che occupava il posto davanti al suo
e che gli stava notoriamente simpatica. Ebbe un’illuminazione:
essere umano e recipiente avevano indubitabilmente la stessa forma.
Si sentì in dovere di condividere questa sua fondamentale scoperta
con il resto della classe e divenne di diritto l’eroe di giornata.
Rinvigorito
da questo ricordo spassoso iniziò, con fanciullesco piacere, ad
enumerare tutti gli strumenti che vedeva davanti a sé, riempiendosi
con gioia la bocca di questi nomi dal carattere desueto e quasi
esoterico: pipetta, buretta, becher, dinamometro, Bunsen e perfino,
quale emozione! Il generatore di Van Der Graaf!
Di
alcuni sapeva l’utilizzo, altri gli erano assolutamente
indifferenti.
Martin
riflettè. Aveva sempre avuto un approccio, diciamo così poetico ed
inventivo alle materie scientifico-pratiche. Se non c’erano da fare
calcoli erano anche divertenti.
Di
prassi evitava di studiarle, a meno che non ci fosse qualche
argomento che lo interessava in modo particolare. Purtroppo, però,
doveva sottoporsi ai pressanti interrogatori delle inflessibili
professoresse. Quale occasioni migliori per fornire, attraverso
complicatissimi giri di parole, risposte fantasiose e sostanzialmente
inventate ai quesiti?
Talvolta
la cosa era agevolata dall’assurdità delle domande, che erano del
genere:
“Ehm,
Martin, mi parli della vita sociale della Drosophila, o moschino da
frutta”
Martin
rimase turbato: persino i moschini della frutta avevano una vita
sociale, perché lui no? In ogni caso, si ricordava di esserne uscito
brillantemente. Ora però era nata in lui una curiosità
irrefrenabile. Si appuntò mentalmente di compiere una ricerca
approfondita sull’argomento non appena rientrato a casa. Non poteva
restare dubbioso su un argomento tanto fondamentale.
In
ogni caso ricordava con piacere le ore passate nei laboratori di
fisica, chimica e biologia. Erano degli spaccati interessantissimi di
vita in comune spesso forieri di episodi divertenti o memorabili.
Negli anni novanta venivano ancora proiettati dei filmati degli anni
’50, veramente degni di nota, con lo scienziatone di turno che
tentava di rendere immediata la comprensione di argomenti alquanto
nebulosi, mediante l’uso di disegni, esempi pratici e studiatissime
gag.
Ripensandoci,
a Martin pareva di aver vissuto all’interno di alcuni episodi dei
Simpson: tutti quelli nei quali alla scuola elementare di Springfield
venivano proiettati i filmini educativi nei quali comparivano Troy
McLure o Rainer Wolfcastle.
Lo
svolgimento era più o meno simile: compariva un personaggio
azzimato, una specie di figura hitchcockiana (nel senso che avevano
lo stesso incedere, la corporatura, e, talvolta, anche lo stesso tono
di voce, probabilmente lo stesso doppiatore, del grande Alfred) un
po’ smagrita che esordiva con un:
“
Salve sono il Professor Tal
dei Tali. Forse vi ricorderete di me per altri filmati come Viaggio
avventuroso nel Moto Uniformemente Accellerato o Attrito: il miglior
amico dell’ uomo”.
Nessuno
si ricordava mai dei filmati precedenti, ma la risata collettiva era
assolutamente matematica.
Le
avventure in laboratorio erano poi sempre ricche di soddisfazioni. La
professoressa era riuscita ad accattivarsi la simpatia, specie della
parte maschile della classe, già dal primo esperimento che era stato
un riuscito esempio di riunione delle conoscenze scientifiche e
recupero delle tradizioni culturali locali: la distillazione della
grappa. Le bottiglie di vino buono erano state trafugate dalla
cantina di un babbo inconsapevole e, ovviamente, per amore della
scienza. Martin non avrebbe saputo ripetere il procedimento
utilizzato per portare a compimento questa impresa scientifica dal
carattere molto friulano, ma ricordava benissimo di aver vagato tutto
felice e contento per i corridoi dell’ edificio scolastico
sorridendo come un beota a tutti gli esseri femminili che incontrava,
compresa Lidia, la decana delle bidelle, che aveva approfittato
dell’occasione per raccontargli degli effetti e dei turbamenti che
aveva causato la visione del film Basic Instinct sul di lei marito.
Per
il resto fu tutto una serie di esperimenti che permettevano a Martin
e ai suoi sodali di sfogare le loro peggiori aspirazioni: si
ingegnavano per ottenere reazioni che avessero come unico scopo
quello di produrre assordanti o puzzolenti peti. Questo metteva in
clamoroso imbarazzo la professoressa che aveva uno stile molto
british e che si prodigava a giustificare quegli allievi così
volonterosi e animati da puri afflati scientifici.
Ogni
tanto anche lei però cacciava il carico da undici: che colore si
sarebbe mai ottenuto facendo un saggio alla fiamma su quel
meraviglioso elemento chiamato stronzio? Ovviamente la risposta
corretta era “Rosso Acceso”. Che altro, no?
Un
discorso a parte lo meritava il tecnico di laboratorio: l’entusiasta
perito Michele. Sole, nebbia, tempesta, neve e tormenta lui arrivava,
dall’ultimo lembo della provincia pordenonese, ogni mattina
puntualissimo in laboratorio a bordo della sua fiammante bici.
Aveva
condiviso con i ragazzi alcuni momenti fondamentali della sua vita
personale.
“ Eh
allora Michele sei diventato padre! Maschio o femmina?”
“Eh,
Femmina, dio bon”
“E
come si chiama?”
“Filippo!”
A
parte questi incidenti di percorso, Michele amava il suo lavoro,
tanto da dover essere ricoverato per aver maneggiato troppo a lungo
alcune sostanze pericolose durante un esperimento in laboratorio.
Il
suo entusiasmo talvolta era contagioso. Capitava di vederlo intento
al microscopio e, pochi secondi dopo, ritrovarlo saltellante per la
stanza al grido di:
“
Michela! Vien qua Michela!
Vara go trovà un’ameba! Varà l’ameba !”
Martin
assicurava che la perfetta imitazione dell’ameba avrebbe riscosso
un successone presso il più ampio pubblico televisivo.
Una
volta Michele gli aveva ordinato di andare a raccogliere in giardino
un campione di acqua da una pozzanghera. Lo avrebbero dovuto
esaminare al microscopio.
“
Ades te fae veder un
microcosmo: la possanghera” disse sorridendo Michele, come ad
indicare un’operazione che era possibile solo a pochi, selezionati
adepti. –“ Satu. Ades te vedarà…”
Michele
continuava, entusiasta come sempre, ma Martin ormai non lo ascoltava
più, totalmente preso dalle fantastiche visioni di buffi e comuni
animaletti microscopici che popolavano il microcosmo pozzangheresco.
Che pace, che tranquillità vi regnava. Tutti quei piccoli organismi
vivevano tra di loro in pace e concordia!
In
realtà si accorse dal primo istante che ciò non era vero e che
anche in quel mondo infinitesimale si combattevano quotidianamente
delle battaglie. Avvicinando l’occhio alla lente del microscopio
potè assistere in diretta, come quegli elicotteri delle televisioni
americane, all’incalzante inseguimento che l’antipaticissimo e
vorace Didinium compiva ai danni di quel placido e bonario essere
pancioruto che corrisponde al nome di Paramecium. La sua simpatia
incondizionata andava a quest’ultimo e si era trovato a
parteggiare, trepidante, sperando nella di lui salvezza. Era una
causa persa. L’incontro si concludeva invariabilmente con la stessa
scena: il Didinium spalancava le sue smisurate fauci, seconde solo a
quelle di alcune vallette televisive, e inglobava l’ignaro
Paramecium.
Quella
era la realtà.
La
realtà!
A
Martin, in quei momenti, non fregava niente della realtà, reale,
questo era il punto.
Era
molto più bello immaginare un microcosmo tranquillo e pacifico. Per
quale ragione non avrebbe dovuto esserlo? Cosa lo impediva? Perdio,
il suo microcosmo sarebbe stato vitale, ma pacifico. Le piccole lotte
e le incomprensioni quotidiane erano inevitabili, ma perché non
avrebbe potuto crearsi un minuscolo mondo più tranquillo?
Era
possibile!
Ne
era convinto e non sarebbe stata una odiosa e stupida osservazione
scientifica a fargli cambiare opinione.
Martin
si riscosse dal flusso violento dei propri pensieri. Si era veramente
infervorato e si ritrovò che stava concionando davanti a degli
strani quadretti, brandendo un obsoleto microscopio.
Ripose
lo strumento sullo scaffale dal quale, presumibilmente, lo aveva
preso. Ed iniziò a scrutare le foto in bianco e nero sul muro. Una
in particolare lo colpì: raffigurava il giovane Professor Battirani
abbracciato ad una bellissima donna, forse la moglie.
Era
circondato da bambini che sembrava lo ascoltassero come rapiti. Era
un luogo di montagna, si intuiva dalla vegetazione e il Professore
era seduto a cavalcioni su un masso che recava un’iscrizione.
Martin la lesse, ma la cosa lo lasciò indifferente.
Decise
quindi che il suo dovere era stato compiuto e si avviò a recuperare
il suo amico Leo che verosimilmente era ancora impegnato nel suo
gioco di seduzione con la vicina di Battirani.
Martin
lasciò la porta dell’abitazione dietro di sé e venne accecato dal
sole. Nella sua buffa e contorta espressione si sarebbe potuta
leggere una gran soddisfazione.
In
fondo la vita è un bellissimo, divertente, incasinatissimo gioco,
pensò.
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