La rilettura di Andre Gide e del suo “I sotterranei del Vaticano” riserva più di una
soddisfazione. Scritto nel 1914 mentre il mondo scivolava verso la Grande
Guerra è un libro pungente, caustico e che l’autore stesso definisce una sorta
di farsa.
La vicenda si articola intorno a due nuclei principali: da un lato la truffa architettata da una banda di imbroglioni — i “Millipiedi” — che mira ad estorcere denaro a famiglie borghesi convincendole che il papa reale sia stato rapito e rimpiazzato con un sosia; dall’altro il microcosmo delle famiglie Fleurissoire / Armand-Dubois e dei loro legami sentimentali e intellettuali, che si muovono tra Parigi e Roma. Tra tutti questi gigantesca il giovane Lafcadio, figura centrale del romanzo. Un personaggio complesso, dalla biografia personale complicata, ma affascinante, impulsivo, capace di atti eroici ma anche di imprese prive di motivazione apparente.In sostanza la misteriosa organizzazione convince un gruppo di famiglie aristocratiche e borghesi francesi, decisamente bigotte, ad intraprendere, a suon di donazioni in denaro, una crociata per la liberazione di Leone XIII, che pare essere imprigionato appunto nei sotterranei del Vaticano e sostituito da un sosia, sostenuto da misteriose organizzazioni segrete e dagli immancabili massoni. Come detto si conoscono le storie delle tre famiglie coinvolte ovvero gli spiantati Amedèe e Arnica Fleurissore, gli Armand Dubois con il capofamiglia che passa da essere anticlericale a credente convintissimo dopo un miracolo che gli ha tolto la zoppia e quella dei ricchi Baraglioul con Julius scrittore di vaglia e con grandi aspirazioni che però scrive libri decisamente noiosi ed inutili. Le tra famiglie sono tutte imparentate e, a loro modo, concorrono a questa singolare crociata. In mezzo si inserisce Lafcadio, ragazzo cresciuto con una madre sempre in viaggio e soprattutto, sempre circondata da “zii” di ogni provenienza ed estrazione. In questo modo Lafcadio viene cresciuto in un ambiente poliglotta e immerso in mille stimoli e tante figure maschili. Tra queste c’è anche il Conte Juste – Agenore de Baraglioul che si scopre essere il suo vero padre e che, alla morte, dopo avergli presentato il suo fratellastro Julius, gli lascia una grande rendita. Ma per Lafcadio questo non basta. Non sopporta la vita ipocrita di tutti questi bigotti, che trova limitati ed ovviamente alla stregua di macchiette. E, per chi leggerà il libro il famoso gesto gratuito di Lafcadio non è l’esaltazione di una mossa irrazionale o la ricerca del delitto perfetto. Scaraventando Fleurissoire fuori dal vagone Lafcadio metaforicamente si libera di formalismi religiosi, famiglia borghese, regole stringenti e mediocrità. E’ una cosa di cui pentirsi? Gide lascia al lettore l’ultima parola.
La vicenda si articola intorno a due nuclei principali: da un lato la truffa architettata da una banda di imbroglioni — i “Millipiedi” — che mira ad estorcere denaro a famiglie borghesi convincendole che il papa reale sia stato rapito e rimpiazzato con un sosia; dall’altro il microcosmo delle famiglie Fleurissoire / Armand-Dubois e dei loro legami sentimentali e intellettuali, che si muovono tra Parigi e Roma. Tra tutti questi gigantesca il giovane Lafcadio, figura centrale del romanzo. Un personaggio complesso, dalla biografia personale complicata, ma affascinante, impulsivo, capace di atti eroici ma anche di imprese prive di motivazione apparente.In sostanza la misteriosa organizzazione convince un gruppo di famiglie aristocratiche e borghesi francesi, decisamente bigotte, ad intraprendere, a suon di donazioni in denaro, una crociata per la liberazione di Leone XIII, che pare essere imprigionato appunto nei sotterranei del Vaticano e sostituito da un sosia, sostenuto da misteriose organizzazioni segrete e dagli immancabili massoni. Come detto si conoscono le storie delle tre famiglie coinvolte ovvero gli spiantati Amedèe e Arnica Fleurissore, gli Armand Dubois con il capofamiglia che passa da essere anticlericale a credente convintissimo dopo un miracolo che gli ha tolto la zoppia e quella dei ricchi Baraglioul con Julius scrittore di vaglia e con grandi aspirazioni che però scrive libri decisamente noiosi ed inutili. Le tra famiglie sono tutte imparentate e, a loro modo, concorrono a questa singolare crociata. In mezzo si inserisce Lafcadio, ragazzo cresciuto con una madre sempre in viaggio e soprattutto, sempre circondata da “zii” di ogni provenienza ed estrazione. In questo modo Lafcadio viene cresciuto in un ambiente poliglotta e immerso in mille stimoli e tante figure maschili. Tra queste c’è anche il Conte Juste – Agenore de Baraglioul che si scopre essere il suo vero padre e che, alla morte, dopo avergli presentato il suo fratellastro Julius, gli lascia una grande rendita. Ma per Lafcadio questo non basta. Non sopporta la vita ipocrita di tutti questi bigotti, che trova limitati ed ovviamente alla stregua di macchiette. E, per chi leggerà il libro il famoso gesto gratuito di Lafcadio non è l’esaltazione di una mossa irrazionale o la ricerca del delitto perfetto. Scaraventando Fleurissoire fuori dal vagone Lafcadio metaforicamente si libera di formalismi religiosi, famiglia borghese, regole stringenti e mediocrità. E’ una cosa di cui pentirsi? Gide lascia al lettore l’ultima parola.
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