lunedì 12 marzo 2018

"Senzanome" di Alfredo Stoppa

Malinconica ironia, memoria e una dimensione tra il sogno, la fiaba e la realtà. Sono queste le principali cifre stilistiche dei romanzi di Alfredo Stoppa. Non è un caso che Stoppa si trovi a proprio agio nell'ambiente fiabesco visto che è un pluripremiato scrittore ed editore di libri per ragazzi e ha gestito per anni una nota libreria pordenonese, specializzata in libri per l'infanzia. Lo scrittore negli ultimi anni sta cercando di portare la visione magica e onirica tipica della fanciullezza anche nei romanzi dedicati ai "grandi" 
Già nel precedente “I passi del padre” aveva raccontato, con gli occhi di un bambino, in un'atmosfera che ondeggiava tra leggerezza e cruda realtà, la strage nazista compiuta a Torlano di Nimis nel 1944. La sua ultima fatica “Senzanome” (Euno Edizioni) non può essere catalogata sotto la voce “romanzo”. Si tratta di una quindicina di racconti che ci fanno entrare nell'universo dei “Senzanome”, appunto. Persone normali, che vivono esperienze ordinarie e che in questa loro normalità possono sentirsi eccezionali e pensare, addirittura, di poter cambiare il mondo. I Senzanome sono così: ordinari, ma coraggiosi. Escono dalle pagine raccontandoci le loro sensazioni, i loro pensieri e i loro sogni. Il tutto in un'atmosfera sospesa tra il sogno e il monologo interiore che poi si aggancia ad una realtà ben nota a tutti i lettori: i Senzanome, di volta in volta, ci raccontano le loro esperienze fanciullesche o adolescenziali, sono testimoni di eventi tragici e storici (la lotta partigiana, la strage di Bologna) o si ricordano di aneddoti quotidiani legati ad avvenimenti nazionalpopolari come, ad esempio, la finale di un mondiale di calcio. In fondo tutte le storie del mondo vengono raccontate da chi riesce a conservare la memoria di cose semplici: una risata, un pianto, l'amore per gli animali o per gli esseri umani, lo stupore per le meraviglie della natura, la rabbia per le ingiustizie. E in questo “Senzanome” le storie si rincorrono senza un apparente filo logico, assieme ai versi di una ideale colonna sonora che mescola Edoardo Vianello, Paolo Conte e Mogol, componendo una faticosa e malinconica ode alla vita, fantastica, delle persone semplici

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