giovedì 3 maggio 2018

La Terra del Ferro e del Fuoco - Cap XI - Il Maestro e Margherita

 Ed eccoci giunti al punto d'arrivo di questa storia. E se non vi piace Bjork, pazienza....


Il Maestro e Margherita


Il Maestro e Margherita. Martin pensò che il titolo del romanzo di Bulgakov si sarebbe potuto benissimo adattare per fare la didascalia esplicativa del quadretto che aveva ritrovato in casa Battirani e che gli aveva permesso di raggiungere il Professore.
Nella foto si vedeva il Professore circondato da uno stuolo di ragazzini che lo ascoltavano rapiti seduti sull’erba. Battirani dal canto suo era seduto con la moglie su di un piccolo masso che recava incisa l’iscrizione “ Sass De La Regina 1881 – 1882”.
“ Si trattava della Regina Margherita di Savoia. Si proprio quella della pizza “ – spiegò paziente Battirani – “ a quanto pare, durante l’estate, soggiornava in quegli anni a Perarolo, ospite di famiglie nobili veneziane che avevano stabilitò quassù il loro buen ritiro “.
“ E come mai le hanno dedicato questo piccolo sasso, invece che un più regale monumento” – chiese Martin incuriosito.
“ A quanto sembra la regina portava qui a Caralte il piccolo Vittorio Emanuele III a fare questa passeggiata tra i boschi. La leggenda narra che le nobili scampagnate terminassero in questo punto con una sontuosa merenda. Un’altra versione, forse meno regale, ma ugualmente interessante, a mio parere, sostiene che su questo masso la Regina, affaticata da tanto camminare, si accomodasse per espletare alcuni suoi irrinunciabili bisogni fisiologici “.
Martin sorrise al pensiero dell’ austera Regina alle prese con un ingombrante e svolazzante vestitone di fine ottocento che mal si adattava ad una passeggiata montana e soprattutto ad un’ evacuazione d’emergenza.
“ Portavo quassù i bambini perché mi pareva che a contatto con la natura fossero più liberi e contenti di imparare che non quando erano rinchiusi tra quattro mura. Poi ogni volta l’ambiente circostante era pieno di nuovi spunti. Venga voglio farle vedere una cosa”.
Il Professore condusse Martin lungo quello che un tempo doveva essere un pendio molto scosceso e che ora aveva preso forma di strada asfaltata, più comoda, ma sempre molto ripida.
Sulla destra della carreggiata scorreva un piccolo torrente, mentre alla sinistra c’era una grossa parete rocciosa, bucherellata da caverne ed anfratti che la facevano somigliare ad un pezzo di Emmenthal.
“ Ha mai sentito parlare delle Agane?” – chiese Battirani.
Martin fece un’espressione che lasciava intendere che per quanto lo riguardava poteva trattarsi di una specialità gastronomica quanto di un animale preistorico.
“ Si tratta di esseri mitologici: più o meno fate della mitologia celtica, ovviamente bellissime e bionde che si dice vivessero nell’ acqua e riemergessero per lavare i vestiti insanguinati dei guerrieri morti in battaglia. “
Martin lo stava ascoltando interessato come un bambino dell’asilo.
“ Io portavo di notte qui i bambini per quella che chiamavo «prova di coraggio». Sa il vento che si infila in quegli anfratti produce dei suoni veramente particolarissimi. Io dicevo ai ragazzi che quelle che sentivano erano le voci delle Agane che stavano malinconicamente lamentandosi per la triste sorte dei loro giovani guerrieri “.
“ Non le sembrava di fare una cosa crudele? Poveri bimbi me li immagino atterriti…” – intervenne Martin.
“ Diciamo che li preparavo a quello che la vita avrebbe potuto di lì a poco riservar loro. Non dovevano avere paura. Era una cosa assolutamente naturale.
Non si devono temere le cose naturali, quanto piuttosto le mostruosità create dall’uomo “.
Quando faceva il sofista Martin faceva fatica a reggere il Professore. In ogni caso poteva perdonargli quelle tirate considerando quante ne aveva passate quell’uomo. Cercò quindi di cambiare discorso, sperando di poter affrontare argomenti più facilmente digeribile.
“ Professore, le andrebbe di raccontarmi come mai si è stabilito a Pordenone nel dopoguerra? “
“ Ha ragione, giovanotto. Glielo devo. In fondo è venuto su fin qua proprio per questo. Se è riuscito a ritrovarmi e mi ha sopportato finora, merita di conoscere la storia fino in fondo. “
Proseguirono a camminare lungo il sentiero boscoso fino a raggiungere un piccolo dondolo protetto dagli alberi nella zona del campo sportivo.
Si sedettero e Battirani riprese a raccontare quell’affascinante ed intricato racconto che era quello della sua esistenza.
“ Vede, l’organizzazione che si era occupata del Progetto Manhattan non vennè smantellata alla fine del Secondo conflitto mondiale. Il pericolo era ora rappresentato dall’ enorme e comunistissima Unione Sovietica. L’ordine era quello di produrre armi sempre più potenti e sofisticate per proteggersi dalla minaccia russa. Il progetto successivo sarebbe stata la bomba ad idrogeno, sotto la supervisione di Edward Teller.”
“ E lei non se la senti di continuare a collaborare ad un simile progetto…”
“ Esattamente. Come si suol dire: errare è umano, ma perseverare è diabolico. “
“ E quindi? “
“ E quindi chiesi di poter tornare in Italia. In realtà non sapevo bene neanche io dove visto che mi ero ripromesso di non ritornare più a Roma e che quindi non avevo ne casa, ne tantomeno lavoro. Mi proposero di continuare a lavorare per la US Airforce, a condizione di non avere niente a che fare con la produzione di armi. Venni trasferito quindi in Europa alla base aerea di Wiesbaden. “
“Wiesbaden ?”
“Si. E’ un paese vicino a Francoforte sul Meno dove venne stabilito il quartier generale dell’ Aeronautica Statunitense in Europa. Qui facevo il maestro per i figli degli operai italiani che alla fine della guerra avevano trovato lavoro all’interno di questa struttura. “
“ Per quanti anni rimase lì ? “ - chiese Martin
“Quasi sei. Poi ci fù l’occasione di ritrasferirsi in Italia. Stavano infatti aprendo una nuova base americana. Lei la conosce bene: era quella di Aviano.
Per ironia della sorte stavo rifuggendo dai fantasmi della bomba atomica e mi ritrovai a vivere con una cinquantina di ordigni nucleari ben nascosti sottoterra nel suolo sopra il quale quotidianamente passeggiavo “
“ Deve essere stata una situazione per niente rassicurante “
“ Non lo era e non lo è neanche ora. Pensa davvero che se succedesse qualcosa all’interno della base, rimanga qualcosa di vagamente simile alla vita da lì fino a Udine? “ disse severo Battirani.
Martin rabbrividì. Ad essere sinceri, non aveva mai pensato ad una simile eventualità. Aveva sempre visto la Base come una caratteristica naturale di quel territorio. Un luogo che faceva confluire nella provincia pordenonese una massa di pittoreschi yankee e al massimo disturbava il vivere quotidiano con i decolli e i tuoni che si sentivano dopo l’accensione dei post bruciatori dei caccia.
In effetti non aveva mai sopportato il cosiddetto turismo di guerra, che si sostanziava in migliaia di cretini che affollavano le strade nei pressi della base.
Questa marea di insensati giungeva (addirittura in corriera ! ) da ogni parte di Italia e si sistemava a fare dei picnic sul ciglio della strada che conduceva alla Pedemontana. Madri, figli e addirittura nonni si appostavano armati di binocolo in una mano e di panino alla mortadella nell’altra, con la speranza di cogliere il decollo di un velivolo armato di tutto punto che, per la cronaca, si apprestava a bombardare e in alcuni casi uccidere, altri esseri umani, spesse volte innocenti ed assolutamente inconsapevoli di quello che stava capitando.
“ Ha ragione “ – disse come riscuotendosi Martin “ Lei quindì lavorò a lungo presso la Base?”
“ No. Me ne andai quasi subito. Come forse potrà immaginare ne avevo avuto abbastanza di vivere negli ambienti militari. Mi trasferìi a Pordenone nella casa di Torre che lei, visto che è qui, ha sicuramente avuto modo di visitare “
Martin annuì.
Il Professore continuò a raccontare della propria vita quotidiana e di come fosse riuscito a trovare impiego quasi subito impiego come professore in uno degli istituti cittadini.
“ Qui avvenne però un dramma del quale ancora non riesco a capacitarmi “
Martin rimase confuso. La sua mente vagava già alla ricerca di qualche fatto di cronaca che riguardasse il Professore. Si affacciarono le più incerdibili supposizioni, ma non ci fu nessuna illuminazione decisiva. Aveva letto tutto il fascicolo riguardante Battirani che gli aveva consegnato Leo. Possibile che fosse successo qualcosa che era sfuggita anche alla polizia? Martin restò in attesa, incuriosito.
“ In quel periodo io e Sara “ – riprese Battirani – “ stavamo cercando con parecchia insistenza, devo dire, di avere un bambino, ma senza successo. Ci rivolgemmo allora ad uno specialista. All’epoca la tecnologia in quel campo era ovviamente molto arretrata, specie se confrontata con le conoscenze attuali.
La risposta fu sconfortante: ero sterile e non avrei potuto mai coronare il mio sogno di avere un figlio dalla donna che amavo”
Battirani si interruppe. Aveva un nodo alla gola.
“ Decisi quindi di dedicarmi anima e corpo all’insegnamento. Avrei cercato di far crescere in modo responsabile i figli degli altri, facendo loro capire quanto fosse importante vivere in pace e godersi ciò che il mondo mette loro a disposizione.”
“ Mi dispiace, veramente “ - disse con un filo di voce Martin, cercando di portare un po’ di solidarietà umana a quell’essere umano così provato. “ Ed è per quello che ha iniziato a scrivere l’opera che poi abbiamo ritrovato? “
“ No. In realtà la molla che ha fatto scattare in me la voglia di esprimere per iscritto ciò che sentivo è scattata più tardi in seguito ad un altro accadimento “
“ Ho scoperto casualmente che una comissione senatoriale USA aveva desecretato dopo 50 anni documenti riguardanti le Fabbriche Invisibili di Oak Ridge, Hanford e Los Alamos, ovvero quegli impianti presso i quali avevo lavorato negli anni del Progetto Manhattan.
Si venne così a sapere che i morti delle bombe non furono solamente giapponesi.
I rifiuti nocivi prodotti in queste fabbriche e direttamente scaricati nei fiumi o nel sottosuolo e la prolungata esposizione alle radiazioni richiesero un pesante pedaggio anche a coloro che nelle fabbriche lavoravano.
Il governo americano sapeva i rischi ai quali questi lavoratori andavano incontro, ma decise vigliaccamente non solo di non informarli, ma addirittura di utilizzarli come cavie per verificare quale fosse l’effetto delle radiazioni sugli esseri umani.
Un documento veramente terrificante ed agghiacciante.
Io fui tra i più fortunati: sono ancora qui a raccontarle la mia storia, anche se non ho potuto provare la gioia della paternità. Molti altri sono morti in maniera orribile di cancro o altre malattie connesse all’esposizione alle radiazioni. Altri ancora hanno avuto figli deformi o handicappati.
Ho deciso di scrivere il libro che lei ha citato non solo per lanciare un grido d’allarme, ma anche per provare a far crescere una generazione migliore che non ricada nei nostri stessi errori.
Lo so, amico. Lei crede che questa mia missione sia utopica, ma d’altronde nella vita talvolta si va avanti perché ci sono sogni e traguardi da perseguire, non crede? “
Martin resto inebetito. Non era in grado di dire alcunchè.
“ So che lei è uno dei nostri. Fa parte della categoria dei sognatori. Altrimenti non avrebbe mai sprecato tutto questo tempo per trovarmi e non avrebbe avuto tutta questa pazienza nell’ascoltare gli strambi vaneggiamenti di un vecchio “.
Battirani si alzò. Sembrava sollevato dall’aver condiviso la propria storia con qualcuno.
“ Che fa? Vuol restare inchiodato a quella panchina per il resto della sua esistenza? “ – chiese il Professore con un sorriso bonario.
Martin si alzò meccanicamente e lo seguì.
“ Che ne dice se le offrò una cena per ripagarla della sua gentilezza? Conosco un posticino delizioso nei pressi del Lago di Barcis. Visto che lei è motorizzato, mi ci potrebbe accompagnare…”
Martin acconsentì con piacere. Non aveva mai in vita sua rifiutato un invito a cena e non avrebbe di sicuro cominciato quella sera.
In men che non si dica si ritrovarono in macchina. Affrontarono le infinite curve che il paesaggio proponeva con spensieratezza, fino a raggiungere una minuscola locanda al centro della piccola cittadina.
Durante la cena gli argomenti, grazie anche all’ottimo vino rosso della casa, si fecero più leggeri e spensierati e Martin potè apprezzare anche la verve comica del Professor Battirani.
Finito di mangiare si ritrovarono sul lungolago, appoggiati al lungo corrimano di legno. L’ unico bagliore di luce era quello delle sigarette che stavano fumando, silenziosamente.
L’acqua del lago era placida e vi si riflettevano le migliaia di stelle che il cielo vi proiettava in quella serata straordinariamente tersa.
Il Professore spense la propria sigaretta e quindi si rivolse a Martin che era perso nella visione della sfera celeste. Battirani sorrise: aveva trovato proprio il personaggio più adatto.
“ Giovanotto “ – disse in tono solenne – “ vorrei consegnarle l’ultima parte del mio manoscritto. Se la porti a casa, così potrà leggerla con calma “.
Estrasse quindi dalla tasca dell’impermeabile una piccola busta color ocra, in tutto simile a quella che gli aveva a suo tempo consegnato Leo Merlo. Martin non potè annusarla, ma immaginava che avesse lo stesso, particolare, profumo.
Prese, quasi imbarazzato, la busta e sussurrò un sommesso grazie. Si sentiva come un discepolo inadeguato che riceveva rivelazioni importanti da un maestro.
Battirani lo sorprese nuovamente e lo abbracciò. La stretta era forte e possente, sorprendente considerato che proveniva da un uomo che aveva passato l’ ottantina.
“ Vada pure, ora “ – disse Battirani.
Martin lo guardò, senza capire.
“ Non vuole che la riportì in paese “ – chiese.
“ Non si preoccupi. Mi piace restar qui. Lei non sa quante nottate ho passato a scrivere su quella panca “ – disse indicando una seduta preceduta da un tavolone, ricavato probabilmente da uno dei grandi pini che circondavano il lago.
“ Va bene, come preferisce “ – disse Martin.
“ Ah, auasi dimenticavo. Le avevo portato anche questo: lo ascolti ora in macchina. A proposito lei capisce l’inglese vero? “
Martin prese il CD che gli era stato passato da Battirani e lo rassicurò della sua perfetta comprensione della lingua anglosassone.
Quindi, preso atto della volontà del vecchio, lo salutò e si avviò verso la sua macchina con la busta contenente il manoscritto in una mano e il Cd nell’altra.
Cercò con effetti quasi comici di aprire la portiera dell’auto, ma alla fine uscì vincitore anche da quella battaglia.
Aprì lievemente il finestrino per far passare un po’ d’aria. Mentre percorreva la stradina che costeggiava il lago inserì il Cd nel lettore. Un suono di ottoni malinconici riempì l’aria. Era una canzone di Bjork. Martin si stupì che un uomo non più giovane la conoscesse. Si aspettava un aria da qualche opera e invece rimase piacevolemente sorpreso.
Si concentrò ed iniziò ad ascoltare il cantato:
I live by the Ocean
Martin passò a fianco di Battirani che, appoggiato sul parapetto del lungolago lo salutò agitando la mano
And during the night
La strada fece una curva
I dive into it
Martin si voltò preoccupato. Vide Battirani che scavalcava il parapetto.
Down to the bottom
Martin soffocò un urlo in gola, sterzando bruscamente per evitare di andare a schiantarsi contro la parete rocciosa che costeggiava la strada.
Underneath all currents.
And drop my anchor.
Dopo l’ennesima doppia curva il lago era ormai scomparso. Sul volto di Martin comparve invece, fuggitiva una lacrima.
This is where I'm staying
This is my home.1

1 Vivo vicino all’ Oceano

E durante la notte

Mi ci tuffo

Giù, fino in fondo

Sotto a tutte le correnti

E lascio cadere la mia ancora.

Quì è dove starò,

questa è casa mia

( Bjork – The Anchor Song)

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