Passata una lunghissima alba
Passata
una lunghissima alba, Martin si ritrovò davanti al cancello del
Parco di San Valentino assieme ad una lunga schiera di corridori che,
volendo iniziare la giornata con una tonificante corsa, stavano
aspettando l’addetto comunale per poter entrare in quello che era
il più grande polmone verde della città.
Martin
non aveva intenzioni sportive. Aveva passato la giornata precedente
in Questura per raccontare quello che sapeva sul caso Battirani e
poi, una volta ritornato a casa, si era rigirato per casa
dibattendosi tra divano e letto, senza, ovviamente riuscire a
prendere sonno.
Dopo
aver assistito al volontario inabissamento di Battirani aveva
chiamato i soccorsi per cercare di recuperare il corpo del
Professore.
In
seguito aveva dovuto sostenere alcune stressanti discussioni con
Marcon, il collega di Leo, che purtroppo non era al momento in
servizio.
Cercare
di far capire quali erano veramente le nobili intenzioni del gesto di
Battirani a quel testone di un poliziotto era stata una vera mission
impossible. Per una mente che divideva tutto il mondo in due
categorie, per compartimenti stagni e senza sfumature, era molto più
comodo catalogare il tutto sotto la voce di “ suicidio di vecchio
rincoglionito e/o farneticante ”.
Martin
entrò scalpicciando sul viottolo ghiaioso del parco. Il sole della
mattinata estiva infastidiva i suoi occhi necessitanti di riposo,
sebbene ben schermati da un paio di occhiali scuri.
Non
si vedeva una nuvola in cielo, ma si percepiva come una lievissima
foschia tutto intorno. Sarebbe stata una giornata afosa,
terribilmente afosa.
Martin
percorse un sentierino in salita ed andò ad accomodarsi sotto il
tendone giallo del baretto che troneggiava sulla riva del laghetto
interno del parco. Un’ oca ed un cigno, che passavano in parata, lo
squadrarono con fare sospetto ed aggressivo.
“
Buongiorno “ – li salutò
Martin.
Si
presentò quindi un cameriere tutto affannato, dall’aria
evidentemente preoccupata per questo cliente mattutino che se la
intendeva coi palmipedi.
Atteso
l’arrivo di un croissant e di una spremuta di arancia, Martin si
tolse gli occhiali da sole ed iniziò a dedicarsi alla rassegna
stampa dei giornali locali, spaventato di quello che avrebbe potuto
leggere sul caso Battirani.
Ne
aveva già avuto un’ anteprima la sera prima, seguendo il
telegiornale di De Luigi: toni drammatici, società moderna che
lasciava allo sbando i poveri anziani e nessun cenno a quanto poteva
esser stato importante quello che il Professor Battirani stava
cercando di gridare al mondo.
Uno
dei più fervidi ingegni italiani degli anni ’40 era diventato un
vecchio solo e rintronato, abbandonato dalle istituzioni.
Non
andò meglio (ma Martin neanche lo sperava) leggendo la carta
stampata: veniva dipinta una figura di anziano in odore di Alzheimer
che, sembra, stesse scrivendo un romanzo.
Un
romanzo che era la sua vita, pensò Martin.
Leggendo
quelle poche righe una rabbia sorda montò dentro Martin.
Decise
di assumersi la responsabilità di divulgare l’eredità spirituale
di Battirani.
Già
ma come?
Non
voleva farlo diventare un santone. D’altronde perché la gente
avrebbe dovuto ascoltare e fidarsi di un esegeta come lui?
Neanche
a Battirani sarebbe piaciuto: in fondo aveva sempre amato vivere
sottotraccia e silenziosamente. E silenziosamente se ne era andato.
Si
sarebbe anche potuto usare l’abusatissimo ossimoro: “ Assordante
Silenzio”. Martin si era stupito che nessun arguto titolista ci
avesse pensato.
Mentre
addentava il croissant e rifletteva Martin iniziò a prestare
attenzione alla musica che stava meccanicamente ascoltando sul suo
Ipod. Si trattava di una canzone che ascoltava spesso quando aveva
15-16 anni. La strofa principale diceva:
“Non
fare di me un idolo mi brucerò,
se
divento un megafono m'incepperò,
cosa
fare non fare non lo so,
quando
dove perchè riguarda solo me,
io
so solo che tutto va ma non va,
non
va, non va, non va, non va...
Sono
un povero stupido so solo che
Chi
stato stato e chi stato non è
Chi
c'è c'è e chi non c'è non c'è
Chi
c'è c'è e chi non c'è non c'è”
Martin
ci pensò sù. Non avrebbe trasformato Battirani in un idolo. Forse
la cosa migliore sarebbe stata quella di portare dentro di sé tutto
quello che il Professore gli aveva saputo dare e comunicare.
Si
alzò dal tavolino, salutando cortesemente oche e cigni che ne
approfittarono per immergersi nel laghetto e fare una nuotata
mattutina.
Mentre
camminava rifletteva anche sul fatto che Battirani avrebbe meritato
almeno di non essere ricordato come un vecchio pazzo e suicida.
Almeno una riabilitazione postuma doveva impegnarsi per ottenerla.
In
quel momento sentì incombere alle proprie spalle un dolce peso. Si
trattava di Jamila che di bianco vestita, con tanto di fascettina
tergisudore d’ordinanza, si stava dedicando al jogging mattutino.
“
Ciao pelandrone “ gli disse
schioccandogli un sonoro bacio – “ Sempre pensieroso, eh? “
Martin
ricambiò con un bacio silenzioso e la prese per mano. Passarono
sotto una fila di alberi e si distesero sull’ erba appena tagliata.
Quell’odore a Martin piaceva tantissimo e si fondeva
meravigliosamente con quello di Jamila.
Senza
dire nulla Martin iniziò a rovistare nelle tasche del proprio
marsupio. Dopo una breve ricerca estrasse l’ ultima busta ocra che
gli aveva consegnato Battirani. Si rese conto solo in quel momento
che la custodiva da un paio di giorni, ma non aveva ancora avuto
tempo e modo di leggerla.
La
soppesò. Era molto leggera. Aprendola si rese conto che l’ultima
parte dell’opera di Battirani consisteva di un unico foglio
dattiloscritto.
Iniziò
a leggere ad alta voce:
Nasceranno
da noi
uomini
migliori
La
generazione
che
dovrà venire
sarà
migliore
di
chi è nato
dalla
terra
dal
ferro e dal fuoco.
Senza
paura
e
senza troppo riflettere
i
nostri nipoti
si
daranno la mano
e
rimirando
le
stelle del cielo
diranno:
<<
Come è bella la vita!>>
Intoneranno
una
canzone nuovissima,
profonda
come
gli occhi dell'uomo,
fresca
come
un grappolo d'uva,
una
canzone
libera
e gioiosa.
Nessun
albero
ha
mai dato frutti più belli.
E
nemmeno
la
più bella
delle
notti di primavera
ha
mai conosciuto
questi
suoni,
questi
colori.
Nasceranno
da noi
uomini
migliori.
La
generazione
che
dovrà venire
sarà
migliore
di
chi è nato
dalla
terra
dal
ferro e dal fuoco.
Martin
trasse un profondo respiro. Poi guardò Jamila sorridendo. Ora si
sentiva più tranquillo e a posto con se stesso.
Si
rilassò, facendosì fagocitare dall’erba, da quel cielo troppo
azzurro e dal sole della tarda estate.
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