lunedì 14 maggio 2018

La Terra del Ferro e del Fuoco - Epilogo

Ecco il congedo di Martin. Terminare con i versi di Nazim Hikmet è sempre una bella cosa.

Passata una lunghissima alba


Passata una lunghissima alba, Martin si ritrovò davanti al cancello del Parco di San Valentino assieme ad una lunga schiera di corridori che, volendo iniziare la giornata con una tonificante corsa, stavano aspettando l’addetto comunale per poter entrare in quello che era il più grande polmone verde della città.
Martin non aveva intenzioni sportive. Aveva passato la giornata precedente in Questura per raccontare quello che sapeva sul caso Battirani e poi, una volta ritornato a casa, si era rigirato per casa dibattendosi tra divano e letto, senza, ovviamente riuscire a prendere sonno.
Dopo aver assistito al volontario inabissamento di Battirani aveva chiamato i soccorsi per cercare di recuperare il corpo del Professore.
In seguito aveva dovuto sostenere alcune stressanti discussioni con Marcon, il collega di Leo, che purtroppo non era al momento in servizio.
Cercare di far capire quali erano veramente le nobili intenzioni del gesto di Battirani a quel testone di un poliziotto era stata una vera mission impossible. Per una mente che divideva tutto il mondo in due categorie, per compartimenti stagni e senza sfumature, era molto più comodo catalogare il tutto sotto la voce di “ suicidio di vecchio rincoglionito e/o farneticante ”.
Martin entrò scalpicciando sul viottolo ghiaioso del parco. Il sole della mattinata estiva infastidiva i suoi occhi necessitanti di riposo, sebbene ben schermati da un paio di occhiali scuri.
Non si vedeva una nuvola in cielo, ma si percepiva come una lievissima foschia tutto intorno. Sarebbe stata una giornata afosa, terribilmente afosa.
Martin percorse un sentierino in salita ed andò ad accomodarsi sotto il tendone giallo del baretto che troneggiava sulla riva del laghetto interno del parco. Un’ oca ed un cigno, che passavano in parata, lo squadrarono con fare sospetto ed aggressivo.
“ Buongiorno “ – li salutò Martin.
Si presentò quindi un cameriere tutto affannato, dall’aria evidentemente preoccupata per questo cliente mattutino che se la intendeva coi palmipedi.
Atteso l’arrivo di un croissant e di una spremuta di arancia, Martin si tolse gli occhiali da sole ed iniziò a dedicarsi alla rassegna stampa dei giornali locali, spaventato di quello che avrebbe potuto leggere sul caso Battirani.
Ne aveva già avuto un’ anteprima la sera prima, seguendo il telegiornale di De Luigi: toni drammatici, società moderna che lasciava allo sbando i poveri anziani e nessun cenno a quanto poteva esser stato importante quello che il Professor Battirani stava cercando di gridare al mondo.
Uno dei più fervidi ingegni italiani degli anni ’40 era diventato un vecchio solo e rintronato, abbandonato dalle istituzioni.
Non andò meglio (ma Martin neanche lo sperava) leggendo la carta stampata: veniva dipinta una figura di anziano in odore di Alzheimer che, sembra, stesse scrivendo un romanzo.
Un romanzo che era la sua vita, pensò Martin.
Leggendo quelle poche righe una rabbia sorda montò dentro Martin.
Decise di assumersi la responsabilità di divulgare l’eredità spirituale di Battirani.
Già ma come?
Non voleva farlo diventare un santone. D’altronde perché la gente avrebbe dovuto ascoltare e fidarsi di un esegeta come lui?
Neanche a Battirani sarebbe piaciuto: in fondo aveva sempre amato vivere sottotraccia e silenziosamente. E silenziosamente se ne era andato.
Si sarebbe anche potuto usare l’abusatissimo ossimoro: “ Assordante Silenzio”. Martin si era stupito che nessun arguto titolista ci avesse pensato.
Mentre addentava il croissant e rifletteva Martin iniziò a prestare attenzione alla musica che stava meccanicamente ascoltando sul suo Ipod. Si trattava di una canzone che ascoltava spesso quando aveva 15-16 anni. La strofa principale diceva:

“Non fare di me un idolo mi brucerò,
se divento un megafono m'incepperò,
cosa fare non fare non lo so,
quando dove perchè riguarda solo me,
io so solo che tutto va ma non va,
non va, non va, non va, non va...
Sono un povero stupido so solo che
Chi stato stato e chi stato non è
Chi c'è c'è e chi non c'è non c'è
Chi c'è c'è e chi non c'è non c'è”

Martin ci pensò sù. Non avrebbe trasformato Battirani in un idolo. Forse la cosa migliore sarebbe stata quella di portare dentro di sé tutto quello che il Professore gli aveva saputo dare e comunicare.
Si alzò dal tavolino, salutando cortesemente oche e cigni che ne approfittarono per immergersi nel laghetto e fare una nuotata mattutina.
Mentre camminava rifletteva anche sul fatto che Battirani avrebbe meritato almeno di non essere ricordato come un vecchio pazzo e suicida. Almeno una riabilitazione postuma doveva impegnarsi per ottenerla.
In quel momento sentì incombere alle proprie spalle un dolce peso. Si trattava di Jamila che di bianco vestita, con tanto di fascettina tergisudore d’ordinanza, si stava dedicando al jogging mattutino.
“ Ciao pelandrone “ gli disse schioccandogli un sonoro bacio – “ Sempre pensieroso, eh? “
Martin ricambiò con un bacio silenzioso e la prese per mano. Passarono sotto una fila di alberi e si distesero sull’ erba appena tagliata. Quell’odore a Martin piaceva tantissimo e si fondeva meravigliosamente con quello di Jamila.
Senza dire nulla Martin iniziò a rovistare nelle tasche del proprio marsupio. Dopo una breve ricerca estrasse l’ ultima busta ocra che gli aveva consegnato Battirani. Si rese conto solo in quel momento che la custodiva da un paio di giorni, ma non aveva ancora avuto tempo e modo di leggerla.
La soppesò. Era molto leggera. Aprendola si rese conto che l’ultima parte dell’opera di Battirani consisteva di un unico foglio dattiloscritto.
Iniziò a leggere ad alta voce:

Nasceranno da noi
uomini migliori
La generazione
che dovrà venire
sarà migliore
di chi è nato
dalla terra
dal ferro e dal fuoco.
Senza paura
e senza troppo riflettere
i nostri nipoti
si daranno la mano
e rimirando
le stelle del cielo
diranno:
<< Come è bella la vita!>>
Intoneranno
una canzone nuovissima,
profonda
come gli occhi dell'uomo,
fresca
come un grappolo d'uva,
una canzone
libera e gioiosa.
Nessun albero
ha mai dato frutti più belli.
E nemmeno
la più bella
delle notti di primavera
ha mai conosciuto
questi suoni,
questi colori.
Nasceranno da noi
uomini migliori.
La generazione
che dovrà venire
sarà migliore
di chi è nato
dalla terra
dal ferro e dal fuoco.

Martin trasse un profondo respiro. Poi guardò Jamila sorridendo. Ora si sentiva più tranquillo e a posto con se stesso.
Si rilassò, facendosì fagocitare dall’erba, da quel cielo troppo azzurro e dal sole della tarda estate.

Nessun commento:

Posta un commento