Altre differenze significative tra i due conflitti?
“Trent’anni fa ci arrivavano notizie che certamente ci turbavano, ma non intaccavano la nostra quotidianità. Adesso abbiamo un impatto maggiore come numero di profughi e ci tocca nel portafoglio e nell’economia domestica”.
Com’è cambiato il modo di raccontarlo?
“Oggi sembra si possa vedere tutto. In realtà non ne capiamo di più. Le macchine della propaganda di entrambe le fazioni funzionano a pieno regime. Credo che il buonsenso dovrebbe farci dire che la guerra di per sé è un crimine e che è difficile assistere a conflitti nei quali non vengano commessi crimini contro l’umanità. Il nostro mondo ha chiuso una guerra mondiale con due atomiche su città e non su caserme.”
Come fa il bravo reporter a distinguere il vero e a non farsi influenzare?
“Deve cercare di essere diffidente e usare il condizionale anche rispetto alle cose che ha visto. Non c’è conflitto che non contenga manipolazioni della realtà. Bisogna non farsi araldi di una causa che non sia quella di civili e bambini. E’ chiaro che la Russia sia l’aggressore, ma le corrispondenze devono cercare di raccontare tutta la realtà. Io sono stato protagonista di una polemica per aver chiesto chiarimenti specifici sulle immagini della strage di Bucha, chiarimenti che nessuno è riuscito ancora a darmi, neanche i nostri corrispondenti sul campo. Capisco la partecipazione umana e sono sicuro che i russi commettano crimini così come gli ucraini da quando la guerra è iniziata nel 2014. Ragione di più per essere contro tutte le guerre”.
Quali sono le caratteristiche principali dei reporter che lavorano in luoghi difficili?
“Innanzitutto un’ottima condizione fisica, se vuoi stare sul campo e non scrivere dall’albergo.Bisogna sapersela cavare con le lingue per poter comunicare senza troppi intermediari. Bisogna studiare la storia, ma non imbottirsi di pregiudizi e avere lo sguardo più innocente possibile, oltre ad una buona dose di umiltà e la capacità di raccontare i destini delle singole persone. I grandi numeri sviliscono le tragedie”
C’è qualche collega giovane che ammiri o segui?
“Credo che oggi sia difficile il nostro lavoro perché la rete ha moltiplicato le possibilità. Manca però la sicurezza che derivava dall’avere alle spalle una testata. Apparentemente quello dei freelance è un lavoro di maggior libertà. In realtà sei un po’ allo sbaraglio perché devi contare il numero di “Like” e per farlo o farli aumentare devi presentare le notizie in una certa maniera, prendendo anche posizioni polemiche o controverse. In questo senso ho nostalgia dei vecchi inviati”
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