martedì 23 settembre 2025

Quel che resta di Santiago - Diego Passoni

Camminare è un’attività che mi gratifica e, quando non faccio almeno quella decina di chilometri al giorno che per lavoro solitamente percorro, sento che mi manca. Camminare fa stare bene e ti salva, almeno per un po’ come sosteneva il grande e mai dimenticato Andrea Spinelli che ne aveva fatto una cura e un modo di vivere. Pur non avendo mai fatto un cammino vero e proprio i cammini mi incuriosiscono parecchio e, prima o poi, sono convinto, ne affronterò uno. Per questo ho apprezzato molto la lettura (anche se sarebbe meglio dire l’ascolto, avendone fruito con Audible) di “Quel che resta di Santiago” (Sonzogno) libro scritto da Diego Passoni e che prende spunto dall’aver percorso il Cammino Portoghese che porta a Santiago. E, già da subito c’è un elemento di discontinuità rispetto a molti altri libri del genere. Il cammino non viene presentato sotto forma di performance da raggiungere (cosa che ha fondamentalmente distrutto anche il modo di fruire ed intendere la montagna), nè come esperienza istantanea da condividere via social né, tanto meno come prova di vita che lo scrittore-guru tramanda per dare consigli sull’esistenza con frasi prese direttamente dai Baci Perugina.E allora cosa dobbiamo aspettarci? Passoni racconta il percorso (tappa dopo tappa) con onestà, mostrando sia la fatica fisica (vesciche, zaini pesanti, dormire in luoghi scomodi) che le riflessioni interiori che emergono camminando. Non manca la critica sottile — e talvolta esplicita — al mito del pellegrinaggio oggi: alla “religione dei selfie,” all’eccessivo marketing, e all’idea che ogni cammino sia automaticamente un’esperienza spirituale “oltre le mode.” Passoni pare chiedersi: cos’è rimasto davvero di Santiago, al netto delle aspettative turistiche e culturali? D’altro canto Diego presenta se stesso come pellegrino poco ortodosso. E lo è davvero. Ma a modo suo da tantissimi spunti che ognuno può utilizzare o sui quali può riflettere come meglio crede. Allo stesso tempo fa vedere un background culturale e di interessi veramente notevole, senza per questo farne uno sfoggio vanesio. Alla fine la fatica del cammino e il suo lato poco romantico, le conoscenze fatte percorrendolo e il paesaggio che ci vediamo passare a fianco ci pemettono di guardarci dentro nella maniera più semplice e crudele possibile e se mettiamo da parte l’ego e l’eroismo da impresa possiamo goderci la semplicità. Quella stessa semplicità che permette al nostro viaggio di assumere una dimensione quasi sacra e ci porta a recuperare una preziosa forma di essenzialità. Che ci fa, semplicemente, stare bene.

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