Manhattan.
Cosa veniva in mente a Martin quando sentiva risuonare questa parola?
Ground
Zero, il World Trade Center e le Twin Towers. Un
film di Woody Allen del ’79 con Diane Keaton. Un cocktail a base di
Whiskey, Vermouth e Angostura. In realtà questo è un capitolo che è una vera e propria bomba atomica...
Manhattan
Manhattan.
Cosa veniva in mente a Martin quando sentiva risuonare questa parola?
Ground
Zero, il World Trade Center e le Twin Towers. Un
film di Woody Allen del ’79 con Diane Keaton. Un cocktail a base di
Whiskey, Vermouth e Angostura.
“Nient’altro?”
No,
nient’altro.
“Allora,
amico mio, mi permetta di aggiungere qualcosa al suo bagaglio
culturale”
Martin
si mise comodo. Il divano era confortevole. Il fuoco sul caminetto
crepitava allegramente, visto che all’esterno, nonostante si
supponesse fosse estate pioveva a catinelle e la temperatura era
tutt’altro che clemente. Tra le mani teneva un bel tazzone di caffè
all’americana, che gli faceva da termosifone portatile. Si, c’erano
tutte le condizioni per ascoltare la bella ed avvincente storia del
Professor Battirani. D’altronde non era arrivato fin là
appositamente per quello?
Battirani
iniziò a raccontare del Progetto Manhattan. Il nome non era nuovo
per Martin che però non riusciva ad associarvi un file adeguato. Si
trattava del famoso progetto, avviato dagli Stati Uniti durante la
seconda guerra mondiale, che avrebbe portato alla creazione (e allo
sgancio) delle prime bombe atomiche.
L’idea
di realizzare l’arma atomica viene suggerita al governo americano
proprio dai fisici, primo tra tutti Albert Einstein, preoccupati
dalla possibilità che la Germania nazista riesca a produrre per
prima il terribile ordigno. Nel 1938 infatti i chimici tedeschi Otto
Hahn e Fritz Strassmann avevano ottenuto la prima fissione nucleare e
gli scienziati teutonici guidati da Werner Heisenberg sembravano aver
concrete possibilità di realizzare il più potente congegno di
distruzione di massa mai concepito prima di allora.
“ Il
presidente Roosevelt decise allora di finanziare un progetto che
permettesse di assicurare le condizioni indispensabili per la
produzione di energia dal processo di fissione nucleare. Il nome
originario di questo programma era “Laboratorio di Sviluppo dei
Materiali Energetici Sostitutivi”, ma forse avrebbe potuto attirare
qualche attenzione di troppo, cosa non proprio gradita quando si
vuole sviluppare un piano di lavoro segretissimo. Quindi il nome
venne prima mutato in Manhattan Engineer District, visto che il
quartier generale, almeno nominalmente era in un edificio di Broadway
vicino al Municipio di New York. Poi vista la mania tutta americana
di rifilare alle cose nomi pomposi per poi poterli accorciare,
divenne semplicemente Manhattan Project” .
Martin
era confuso.
“
Scusi se la interrompo
Professore” – disse timoroso – “ ma non riesco a capire
perché mi sta raccontando questa storia: che c’entra con la
pedagogia e tutto il resto?”
Battirani
lo osservò severo. Che avesse sbagliato ad affidare le proprie
speranze a quel rintronato bellimbusto?
“ Oh
rieccoci con la fretta del giorno d’oggi! Società Moderna e
Contemporanea! LEI mi ha chiesto di raccontarle la mia storia, e io
gliela sto giustappunto narrando!”
Martin
lo guardò affascinato.
“Lei
quindi ha preso parte al Manhattan Project?”
“Purtroppo
sì. Ma pensavo che ci arrivasse anche da solo” disse il Professore
rabbuiandosi.
Martin
tentò di farsi piccolo piccolo. Di sicuro ci avrebbe pensato bene
prima di fare una nuova domanda. Battirani riprese la propria
narrazione.
La
logistica del progetto venne seguita dal Generale Leslie Groves
(liquidato da Battirani come “un militaraccio”), mentre il
direttore scientifico era Robert Oppenheimer, fisico americano di
origini tedeche.
Oppenheimer
si circondò dei più eminenti fisici al mondo, soprattutto di tutti
quegli scienziati ebrei che si erano dovuti rifugiare negli States
dopo esser stati cacciati dalle Università di mezz’Europa.
“
Tra questi c’era anche
Enrico Fermi che, come saprà, era stato mio relatore di tesi ai
tempi dell’Università a Roma”
Fermi,
giunto al quartier generale di Los Alamos quando questo era ancora in
costruzione nei primi mesi del 1942, si era ricordato del suo giovane
e brillante allievo caduto in disgrazia e aveva fatto di tutto,
interessando anche i servizi di Intelligence americani, per
ritrovarlo e farlo arrivare incolume dall’altra parte dell’
oceano.
“
Come le avevo già accennato
ci vennero a prendere in elicottero. Non so come fecero a scovarci,
ma ci riuscirono e questa probabilmente fu la nostra fortuna: meglio
che essere rintracciati da fascisti o nazisti che ci avrebbero di
certo deportati. Sulle prime restammo comprensibilmente spaventati.
Vedere dei militari armati ed in divisa non è mai un’esperienza
piacevole. “
Martin
lo poteva comprendere. Non solo non aveva neanche fatto il militare,
ma aborriva qualsiasi genere di arma.
“ Vi
hanno caricato sull’elicottero così, senza dirvi niente, solo
puntandovi le armi addosso?”
“
Assolutamente no, amico mio.
Tra l’equipaggio c’era anche un soldato di origini italiane che
ci spiegò il motivo per il quale ci erano venuti a prendere. E
questo bastò per farci tranquilizzare”
Dopo
qualche giorno Battirani e sua moglie Sara raggiunsero, in maniera
piuttosto avventurosa l’ Inghilterra.
“ Il
governo di Churchill collaborò attivamente al Progetto Manhattan.
Noi restammo per qualche giorno nella cittadina di Portsmouth, sede
di un importante porto nel Sud Est del paese “.
“
Mia moglie, nel tentativo di
ritrovare un po’ di vita normale, ebbe il tempo di visitare la
cittadina, che comunque era già stata duramente provata dai
bombardamenti tedeschi. La cattedrale, il porto, le tipiche case
inglesi tutte vetrate e persino la HMS Victory, la nave nella quale
l’ Ammiraglio Nelson trovò la morte durante la Battaglia di
Trafalgar e che era diventata un museo galleggiante e visitabile,
diventarono le attrazioni che Sara visitava con l’atteggiamento di
meraviglia di un bimbo, cercando di farsi scivolare addosso le
tensioni e i patimenti sofferti negli ultimi anni.”
Martin
provò a pensare ai viaggi da tipico turista che aveva fatto nella
perfida Albione. Certo era stato Londra, l’aveva amata e si era
divertito un sacco. Ma pretendere di sperimentare la vera vita di un
inglese medio stando a Londra era un po’ come andare alla ricerca
di una piantagione di banane in Alto Adige. Ovviamente la situazione
e la vita quotidiana nelle altre cittadine del resto del Regno Unito
era differente. Martin ricordò di esser rimasto stupito da una cosa:
mentre passeggiava in una piccola cittadina del Sud inglese aveva
notato come molti abitanti avessero la tendenza ad essere sovrappeso.
Poi aveva capito il perché: mentre a Pordenone i ragazzi
passeggiando erano usi mangiare un cono gelato, i loro omologhi
inglesi affondavano le prensili mani in un capiente cartoccio di fish
& chips da asporto. Con effetti prevedibili.
Chissà
se anche la signora Battirani si era adeguata a questo lifestyle per
riacquistare una parvenza di vita serena?
La
consueta vocina interna lo insultò pesantemente e lo invitò a
prestare attenzione al proseguio del racconto.
“Nel
frattempo io passavo interminabili ore alla Southwick House, sede del
Comando Supremo delle Forze Alleate, in seguito diventata celebre per
essere stato il luogo dove Eisenhower e Montgomery progettarono il
D-Day.
Qui
cercavano di convincermi a partecipare attivamente al Progetto
Manhattan”
“
Lei era scettico ? “ –
chiese Martin.
“ Si
prospettava una scelta non semplice. Sapevo benissimo per quale scopo
venissero richiesti i miei servigi. Dovevo decidere se astenermi dal
gioco, con la prospettiva che l’imbianchino austriaco coi baffi
avrebbe potuto scoprire per primo un’arma micidiale, o scendere in
campo con la squadra dei “buoni”. Era un deterrente: se Hitler
avesse avuto l’atomica, noi avremmo potuto minacciare una
rappresaglia. Certo è che se avessi saputo, come ho poi scoperto in
seguito che i tedeschi già dal 1942 avevano smesso le ricerche sugli
armamenti atomici, mi sarei astenuto dal partecipare a questa partita
mortale. “
Battirani
era estremamente turbato. Martin cercò di pensare a qualche modo per
alleggerire la tensione, ma il Professore lo prevenne.
“ La
prego, non mi interrompa. L’ ho fatta venir qui perché ho bisogno
di raccontare a qualcuno la mia storia, perché non vada perduta. Mi
ascolti. “ – disse, torturandosi le mani tra di loro.
Martin
lo vide per la prima volta come un vecchio sofferente. Fino a quel
momento aveva pensato che quell’uomo straordinariamente forte non
avrebbe mai mostrato nessun segno di cedimento, di debolezza.
“ La
prego, continui”
“
Insomma, vi presero parte i
più grandi scienziati dell’epoca: Bohr, Einstein, Fermi. A tutti
sembrava una causa giusta, ma io non riesco a togliermi dalla mente
che il nostro lavoro che concettualmente doveva servire alla
sicurezza di tutti, alla fine servì a togliere la vita a migliaia di
innocenti e a rovinarla ad altre migliaia. In ogni caso alla fine
accettai, convinto che la mia opera sarebbe servita per un’ opera
buona e meritoria. Fermi mi attendeva e io partì portando con me
Sara.”
Il
Professore e la moglie raggiunserò Fermi ed Oppenheimer all’inizio
del 1943 a Los Alamos, uno squallida landa nel New Mexico.
“
Qui incontrammo per la prima
volta Oppenheimer. Era stata sua l’idea di costruire un laboratorio
in quell’angolo remoto. D’altronde come biasimarlo? Chi avrebbe
mai avuto la malsana idea di ficcare il naso laggiù? La vita a Los
Alamos, se vita si può chiamare, non era per niente semplice:
vivevamo e lavoravamo in un vecchio Ranch, recintato con il filo
spinato e sorvegliato giorno e notte da sentinelle. L’uso del
telefono era abolito, la corrispondenza privata era controllata dai
servizi segreti e l’unico abbigliamento permesso, anche per gli
scienziati, era la divisa militare. Non serve che le dica che il
luogo era isolatissimo da qualsiasi parvenza di società civile e che
c’era il timore che qualche scienziato facesse il doppio gioco e
facesse uscire informazioni riservate.”
“ Ma
chi avrebbe mai potuto farlo?” – chiese ingenuamente Martin.
“
Mai sentito parlare di Klaus
Fuchs?”
Evidentemente
Martin non lo aveva mai sentito nominare. Ma la storia del Professore
lo stava appassionando.
“
Qual’era esattamente il suo
compito a Los Alamos, Professore?” – chiese in un impeto di
curiosità.
“
Amico mio, ha una vaga idea
di come funzioni una bomba atomica?”
Martin
aveva un’ idea talmente vaga che il suo ragionamento su di essa
poteva risolversi in un mero enumerare di termini quali uranio,
fissione, massa instabile e reazione a catena che avrebbero dovuto
susseguirsi in un discorso difficilmente coerente. Preferì fingere
una completa ignoranza ed attendere la spiegazione di Battirani.
“
Dunque, per farla breve: il
principio è quello della reazione a catena di fissione nucleare. In
sostanza il nucleo di alcuni elementi radioattivi, tipo l’Uranio
235 o il Plutonio 239, se colpito da un neutrone libero può
scindersi in 2 o più parti generando energia. Per innescare la
reazione a catena è necessario che il materiale sia sufficientemente
puro ed arricchito dai suoi isotopi più fissili e in massa
sufficientemente grande. In questo caso si sviluppa una reazione
completamente incontrollata che si propaga in maniera esponenziale in
un intervallo di tempo nell’ordine del microsecondo, liberando una
gran quantità di energia, con effetto esplosivo. Le è tutto
chiaro?“
Si,
abbastanza.
“
Fermi nel dicembre del ’42
aveva già sperimentato, a Chicago, una prima pila atomica, che
ottenne la prima reazione a catena controllata grazie all’uso di
alcune barre di grafite che servivano ad assorbire i neutroni e
rallentare, fino a fermarlo il processo di reazione a catena. Quello
fu il primo passo: il successivo sarebbe stato quello di
un’esplosione a catena non frenata. Ma per far questo occorreva
avere a disposizione materiale fissile opportunamente arricchito, in
misura sufficiente. Il mio lavoro almeno inizialmente fu quello di
stabilire l’energia dei neutroni emessi dal nucleo dell'uranio nel
processo di fissione. Nei reattori nucleari per la produzione di
energia, i neutroni vengono rallentati proprio per controllare la
reazione a catena ed evitare l'esplosione, per la bomba invece
servono neutroni veloci e bisogna conoscere, prima di tutto, la loro
energia. “
Battirani
osservò Martin che lo scrutava con l’aria di chi sta ascoltando un
appassionante racconto di fantascienza
“
Tutto ciò che le sto
raccontando è reale, sa? Anche se meno divertente di quanto possa
sembrare”
Martin
non ne dubitava affatto.
“ In
un secondo periodo venni spedito nel Tennessee ad Oak Ridge. Era una
delle cosiddette “città invisibili” insieme con Los Alamos ed
Hanford, nello stato di Washington. Per motivi di segretezza vennero
infatti letteralmente cancellate da ogni cartina topografica
esistente e fu vietato il traffico aereo civile e militare su di
esse. Se Los Alamos fu il luogo dove vennero assemblati gli ordigni,
Hanford e Oak Ridge furono le fabbriche del materiale fissile:
rispettivamente plutonio ed uranio.
Oak
Ridge fu il più grande dei tre complessi industriali. Si trovava
vicino a Knoxville, nei pressi del fiume Clinch. Questa vicinanza fu
strategica in quanto permetteva di attingere acqua per raffreddare i
reattori nucleari.
La
vita ad Oak Ridge era un po’ diversa rispetto a Los Alamos. C’erano
infatti molti abitanti: tra operai, carpentieri e scienziati la
popolazione era circa come quella di Pordenone e, fortunatamente,
c’era possibilità di ricreare alcuni rapporti sociali. Il compito
dell’impianto era quello di separare l’ Uranio 235 dall’ Uranio
238, presente in natura. Io supervisionavo scientificamente le
operazioni con altri colleghi della Columbia University.
Non
saprei descrivere la grandiosità dell’impianto in altro modo, se
non con una storiella.”
Martin
impallidì. Al Professore aveva dato di volta il cervello?
“ I
fisici e i chimici separavano gli isotopi già prima della Seconda
Guerra Mondiale. Era una cosa normale, sa? E’ molto interessante
separare gli isotopi, perché ogni isotopo ha proprietà fisiche
differenti rispetto al nucleo.”
Era
ufficiale. Battirani era impazzito. Era quello il momento di mettersi
a giocare al piccolo chimico?
“
L’impianto più grande di
separazione poteva avere 50 tubi di vetro situati lungo il banco di
un laboratorio, con uno studente, un tecnico di laboratorio e un
professore che dirigeva sapientemente le operazioni. E in sei mesi,
forse, era possibile ottenere un piccolo campione.
Ora
Oak Ridge riproponeva lo stesso principio, ma in proporzioni
completamente differenti: c’erano una sessantina di fabbricati,
ciascuno dei quali aveva l’aspetto di una raffineria di petrolio
con tutti i suoi condotti, pompe e torri. Erano ordinatamente
allineati su un fronte di un chilometro e mezzo ed ogni edificio era
largo una cinquantina di metri e collegato agli altri. I tecnici per
fare esattamente le stesse cose che fino a qualche anno prima
facevano comodamente seduti sulla sedia di un laboratorio dovevano
muoversi usando la bicicletta.
Impressionante,
no?” -disse Battirani, quasi divertito.
Martin
stava cercando di immaginarsi mentalmente questo gigantesco
laboratorio, questa immensa distilleria situata nello stesso identico
territorio di quella del signor Jack Daniel. Ovviamente il prodotto
era differente, ma per altre e ovvie ragioni, nel corso degli anni
avrebbe avuto un elevata richiesta commerciale.
“
Ovviamente anche in questo
gigantesco laboratorio all’aria aperta la vita era tutt’altro che
semplice: la sorveglianza era continua ed era necessario mostrare
continuamente il proprio lasciapassare, subire perquisizioni per
dimostrare che non si stava trasportando fuori dal laboratorio del
materiale Top Secret, e sopportare come un dato di fatto che tutte le
proprie conversazioni, anche quelle più banali, venissero in qualche
modo origliate, spiate”
A
Martin scappò un sorriso: immaginava quali grandi mal di testa
avrebbero potuto causare le stralunate chiacchierate che ogni tanto
faceva col suo amico Leo. Il linguaggio era così criptico e pierno
di sottintesi che sicuramente avrebbe fatto loro guadagnare qualche
giorno di isolamento, quali pericolosi sediziosi.
“
Riuscimmo a svolgere il
nostro lavoro in modo soddisfacente e consegnammo tutto quanto
richiestoci al Sito Y, come era convenzionalmente chiamato il
Laboratorio di Los Alamos.
In
cambio ricevetti un esclusivo biglietto per assistere ad un’assoluta
prima mondiale: il Trinity Test”.
“Ovvero?”
“Ovvero
la prima esplosione nucleare prodotta dall’uomo che ebbe luogo nel
pieno del deserto del New Mexico nel Luglio del ’45.
Mi
ricordo tutto come fosse oggi. Nell’aria c’era fermento. Da
qualche giorno pioveva e le previsioni non erano incoraggianti. Il
problema non era rappresentato dalla pioggia, quanto dal vento che
avrebbe potuto spargere radiazioni tutt’attorno. Noi, la ristretta
elite che aveva l’occasione di assistere a questa succulenta
premiere, ce ne stavamo rintanati nei rifugi di cemento lontani una
ventina di chilometri dal punto dove avrebbe avuto luogo
l’esplosione. Con gli occhialini protettivi d’ordinanza in mano,
pronti e in attesa di ordini superiori. Non si voleva disattendere
agli ordini del Presidente che nel frattempo era in viaggio verso
Potsdam dove doveva incontrarsi con Churchill e Stalin.
Groves
era impaziente di spedire buone notizie al suo capo e decise che alle
5.30 la detonazione poteva aver luogo.
Inforcammo
gli occhiali e i nostri occhi vennero colpiti da una luce
intensissima, che mai il Sole fu in grado di raggiungere. Si alzò un
vento impetuoso e travolgente seguito da un sordo e squassante tuono.
I nostri cuori sussultarono. Avevamo avuto il privilegio di vedere
gli effetti della più potente arma mai creata, e l’avevamo creata
con le nostre mani e il nostro ingegno. Il senso di soddisfazione
lasciò presto spazio ad un’ansia ed un’angoscia che non se ne
sraebbero mai più andate. Coloro che l’avrebbero rivista in azione
successivamente, in genere, non sarebbero stati in grado di
raccontarlo ai nipoti, come io sto facendo con lei. Se non a prezzo
di aver la vita rovinata.
Successivamente
effettuammo un sopralluogo sul punto dell’esplosione. Quel cretino
di Groves, camminando attorno al gigantesco cratere aperto dalla
bomba si mostrò perplesso.
Tutto
quell’ immenso sforzo, tutti quei cervelli, tutti quegli operai,
tutti quei millioni di dollari di finanziamenti, avevano prodotto
solo quel cratere, anche se di dimensioni considerevoli.
Sarebbe
bastato per far arrendere i crucchi, peraltro già in piena disfatta,
e soprattutto quegli ostinati musi gialli?
Lo
zuccone sottovalutava il potere della polvere radioattiva, ma meno di
un mese dopo migliaia di giapponesi se ne resero conto e non fecero
tanto caso al fatto che il caratere creato dall’ordigno fosse di
piccole o grandi dimensioni.”
Battirani
si fermò. Fece per riprendere fiato. Poi guardò Martin e sorridendo
amaramente pronunciò una sorta di ironico epitaffio.
“
Amico mio, due a zero e palla
al centro. Proprio un bel successo per la scienza, no?”
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