Il luogo dei baci
Il
luogo dei baci. Ogni persona ha il suo preferito. Se ci fate caso
ogni coppia ha il suo spazio d'elezione per scambiarsi le effusioni
private. E ogni location ha i suoi vantaggi e svantaggi. Se Martin
fosse stato veneziano si sarebbe sicuramente diretto verso le
Fondamenta Nove, in un bellissimo spiazzo con vista cimitero. Non per
personale culto macabro e necrofilo, ma semplicemente perché essendo
quello il punto, a suo parere, più orrido della città lagunare,
senza meraviglie artistiche o architettoniche da ammirare, l'unica
cosa che restava da fare era baciarsi.
Ma
Martin non aveva avuto avventure sentimentali in laguna e aveva
inconsciamente stabilito fin da piccino che il miglior posto pubblico
dove scambiarsi dimostrazioni d'affetto private, in terra naoniana
fosse lì.
Panchine
di legno. Fila di alberi (non si avventurava nel cercare di
distinguerne la specie. Alberi e basta. Punto.). Lampioncini. Da un
lato la facciata illuminata di una chiesa cinquecentesca e dall'altro
l'inizio della Contrada Maggiore con il profilo rassicurante del
Duomo e del Campanile. Sotto scorreva placido il buon vecchio
Noncello con il suo carico di rasse
e masurini. A
fare da custodi al tutto due severe figure, un po' padrone di casa e
un po' guardone. Dicono siano Adamo ed Eva, sorveglianti del ponte a
loro dedicato.
Qui
Martin aveva per la prima volta assaggiato il succoso frutto
rappresentato dalle labbra di Jamila.
Era
stato strano riuscire a trasformare in realtà e con l'esatta
scenografia tutte le sensazioni che fin da adolescente aveva più
volte immaginato.
Ora
si ricordava con tenerezza i dubbi amletici che a quel tempo lo
attanagliavano a riguardo delle prime pratiche amorose, condivisi con
gli amici. E si ricordava anche con raccapriccio i consigli di
qualche "uomo vissuto" che la sapeva lunga (o almeno così
lasciava intuire) che si allenava davanti allo specchio in lunghe ed
estenuanti pomiciate. Ovviamente solitarie.
Solitario
come Martin che se ne stava seduto senza compagnia su una delle
panchette di legno del ponte, naufrago, come di consueto, nel proprio
mare di pensieri.
Ora
più che mai aveva bisogno di sentire vicino a sé la presenza di
Jamila.
Il
loro rapporto era sempre stato altalenante. Quando l'aveva vista la
prima volta?
Non
poteva non ricordarselo.
Era
stata assunta, per la stagione estiva, nel piccolo bar che si trovava
nello stesso vicoletto della libreria nella quale lavorava Martin.
Era
stata simpatica a Martin già la prima volta che gli aveva servito un
drink durante una pausa di metà mattina, di un torrido luglio.
Occhi
furbi e vivi. Sorriso sempre presente, ma mai forzato.
Certo
anche una certa permalosità ed un caratterino di ferro, pronto per
scelte anche difficili e coraggiose.
Non
ultima quella di servire, lei mussulmana, una quantità indicibile di
alcool ai clienti. Anche se, per essere onesti, tentava sempre di
portarli sulla retta via spacciando loro del più coranico, ma
purtroppo imbevibile per i più, succo di mirtillo.
Nonostante
queste discutibili scelte bibitorie, che comprendevano anche l'orrido
mix Coca Cola/Birra, Martin si trovava bene con lei.
Era
iniziato tutto con scambi di piccole frasi tra la consegna di un
aperitivo e l'altro ed era proseguito con grandi discorsi sui più
svariati argomenti, che dilatavano le pause caffè di Martin a delle
mezz'ore, ponendolo seriamente a rischio licenziamento.
Il
rischio in genere non era mai stato il suo forte e quindi i tentativi
di far capire alla gentile donzella quali erano le sue intenzioni
erano piuttosto goffi.
Tutta
una sequela di strampalati sms, impacciate scuse per poter attaccar
bottone e mai la forza di sbilanciarsi e pronunciare il fatidico
invito ad uscire (o perlomeno a qualcosa che si avvicinasse ad un
appuntamento).
Martin
preferiva restarsene al sicuro nel suo guscio fatto di sogni e
certezze che (forse) un giorno si sarebbero trasformate in realtà.
Avrebbe
scoperto solo in seguito che proprio tutti questi pietosi espedienti
e comportamenti balzani avevano attratto irresistibilmente la
ragazza.
L’episodio
che aveva dato via ufficialmente al loro rapporto rappresentava alla
perfezione questo strano, e a dir la verità, inconsapevole fascino
che Martin esercitava su di lei. Una sorta di filosofia della
sconfitta che diventa vittoria.
L’episodio
era scolpito nella sua memoria.
Martin
era appena arrivato a Venezia. L’occasione era una rimpatriata con
vecchi compagni di università. Si prospettava una di quelle serate
nelle quali si spettegola, si rimembrano antichi episodi, talvolta
divertenti, e si ritorna a casa magari tristi, magari allegri,
sicuramente con un elevato grado alcolico in corpo.
Dopo
aver piacevolmente camminato per alcune tra le più oscure ed
interessanti calli della Laguna raggiunse la meta designata.
Si
trattava di un ristorante indiano. Gli tornarono in mente gli
avvertimenti di un vecchio amico giramondo che sosteneva che nei
suddetti ristoranti più curry era presente nella pietanza e più la
carne era andata a male.
Si
fece coraggio, entrò e iniziò a conversare piacevolmente e con un
certo savoir faire con i reduci della sua avventura universitaria.
Al
primo boccone la bocca gli andò in fiamme: eccesso di curry. Decise
di tenere a freno le proprie malelingue mentali sulla mancata
osservanza delle norme HACCP e innondò abbondantemente la piccante
carne con vino e bevande.
La
strada per ritornare alla stazione di Santa Lucia gli parve
assolutamente meravigliosa: cielo stellato, luci riflesse sull’acqua.
Anche se, a dire il vero, era un po’ più lunga e difficile del
solito.
Arrivato
infine a bordo del treno che lo avrebbe riportato possibilmente sano
e salvo a Pordenone, si accasciò su un sedile ed aprì il
finestrino. Il caldo gli sembrava insopportabile. Mentre effettuava
queste operazioni, in maniera piuttosto animalesca, si sorprese a
pensare a Jamila. Senza pensarci su prese il cellulare e le scrisse
un sms che dovette risultare piuttosto sconnesso. Dopo qualche minuto
sentì il telefono che vibrava ostinatamente all’interno della
tasca dei pantaloni. Seguì una lunga ed esilarante lotta per
riuscire ad estrarlo da quel luogo impervio ed inaccessibile. Martin
accigliandosi come un miope all’ultimo stadio lesse sul display il
nome di chi lo chiamava. Era lei. Si pronto? Sei ancora a lavorare,
ma mi aspetti per una birrà? Ok.
Una
birra? Un’altra? Per non pensarci, Martin si girò su un fianco e
restò in uno stato di vigile intontimento per circa un’oretta.
Arrivato
nel deserto paesaggio lunare di Viale Mazzini avvertì subito che
l’aria era decisamente più frizzante rispetto a quella veneziana.
Avrebbe scoperto, più tardi, guardando sconsolato i bozzi sulla
carrozzeria della sua auto, che aveva grandinato.
“
Carne avariata, ubriachezza
molesta, tempesta. Che altro prospetta la serata?” si chiese tutto
intirizzito.
Perlomeno
la passeggiata che fece al fresco per raggiungere il locale dove
lavorava Jamila gli servì per tornare quasi tra i possessori di
facoltà cerebrali.
Jamila
era lì che faceva le ultime pulizie prima di chiudere il locale.
Senza quasi accorgersene Martin si ritrovò seduto su di uno sgabello
con un bicchiere di birra in mano, perso tra le parole di lei che
gli raccontava della giornata appena trascorsa, dei problemi con l’ex
fidanzato e di chissà cos’altro. Martin era poco interessato al
senso del discorso, ma rapito da quel fiume di parole e dalla sola
presenza di quel meraviglioso esemplare di donna.
“
Beh dove mi porti adesso a
prendere l’ultimo?” disse lei, cercando di ridestare Martin che
invece aveva già passato la soglia dell’ultimo e anche
dell’ultimissimo veloce. Cercando di dimostrare una presenza di
spirito che in realtà non aveva, si alzò atleticamente dallo
sgabello e la invitò a seguirlo verso il suo lussuoso automezzo. Poi
una volta arrivati lì avrebbe improvvisato, come di consueto.
Durante
il tragitto Jamila fece un sacco di allusioni che Martin già tardo
di suo e inoltre inebetito dall’alcool non colse.
Arrivati
alla macchina c’era l’occasione per una scena tipica
hollywoodiana: parcheggio deserto, il lume di un lampione e due
giovani innamorati. La tempesta c’era già stata, che altro sarebbe
potuto accadere?
Ovviamente
il telefono di Jamila iniziò a suonare come impazzito.
Martin
percepì solo una sequela di suoni incomprensibili che dedusse fosse
lingua araba.
“Hai
capito, no?” – disse
Veramente
no, rispose l’espressione facciale di Martin.
“
Era mio fratello. Mi avvisava
che il babbo stasera rincaserà prima del solito. Sai, se vede che
non ci sono ancora, potrebbe crearmi problemi. Potresti
riaccompagnarmi a casa?”
Certo,
avrebbe voluto dire Martin. Ma l’unica cosa che fece fu aprire
cortesemente la portiera dal lato passeggero.
“
Scusami. Dispiace anche a me
“. Schiocco di un bacio sonoro sulla guancia di Martin.
“
Non preoccuparti, nessun
problema. “ riusci ad articolare Martin, cercando di apparire
convincente e naturale.
Arrivati
sotto casa di Jamila i due si guardarono. Reciproco e casto bacino
sulla guancia.
Ciao
Ciao,
ci sentiamo.
Martin
rientrò a casa, per la felicità dei vicini attaccò lo stereo a
volume esagerato e si lanciò a corpo morto sul suo divano preferito.
Decise
che doveva condividere con qualcuno il misto di rabbia e frustrazione
che lo affligevano.
Prese
febbrilmente tra le mani il cellulare. Cercò di articolare i propri
pensieri, anche se ciò che doveva scrivere era piuttosto elementare.
Litigò
anche con il maledetto ed ottuso T9. Alla fine soddisfatto della
propria opera, si ritrovo a rimirare sul display l’animazione della
bustina che indicava l’operazione di spedizione del messaggio.
Nel
frattempo si accorse che una piccola icona lampeggiante lo invitava a
leggere un sms che evidentemente era giunto mentre lui era preso dal
suo sforzo creativo.
Era
di Jamila.
Semplice.
Incisivo. Meraviglioso. E senza k e abbreviazioni
“
Visto che non lo fai tu,
ci penso io: ti amo follemente e irreparabilmente, scemo”.
Martin
respirò profondamente. La testa gli girava lievemente. Attorno suoni
di chitarra arpeggiata e slide.
Ti
renderò più facile decidere ciò che è inevitabile… Destinati a
perdersi…..
Martin
con un sorrisetto sulle labbra, decise che era giunto il momento di
perdersi, con la consapevolezza che tante cose li accomunavano, e su
una erano entrambi concordi, anche se lei l’aveva formulata in
maniera più forbita e femminile.
Qualche
minuto prima, ed esattamente alle ore 03.12 della mattina, era
comparso sul video del telefono di Leo Merlo il seguente messaggio:
“
Sono proprio un mona”
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