Maria Silvia Bazzoli ne "La voce di Ajla" (Forum Editrice) ci porta nel pieno della terribile guerra dell'Ex Jugoslavia. Lo fa con cognizione di causa, ma soprattutto con grande coinvolgimento ed un'ottima capacità di scrittura e costruzione della vicenda. Un libro non banale che si distingue per queste ragioni da altre narrazioni più asettiche del tremendo conflitto che per anni abbiamo avuto alle porte di casa e che ha fatto soffrire tantissime persone, un tempo fratelli e sorelle.
A volte, raccontando
la nuda trama di un romanzo, si corre il rischio di farlo sembrare banale e già
sentito, quando invece racchiude al proprio interno diversi motivi di
interesse, per capacità di scrittura, costruzione e coinvolgimento emotivo. E’
il caso de “La Voce di Ajla” (Forum Editrice) romanzo d’esordio della
giornalista e documentarista Maria Silvia Bazzoli. La scrittrice conosce
perfettamente la situazione che va a descrivere visto che la sua professione
l’ha portata a confrontarsi direttamente con la guerra nell’ex Jugoslavia.
Proprio da quella guerra fratricida è scappata la Ajla che da il titolo al
libro e ora dopo tanti anni dalla fine del conflitto si trova ricoverata in
stato catatonico all’ospedale di Parigi, città che l’ha accolta da profuga. Al
suo capezzale conosciamo Alina, la figlia, una vera e propria figlia della
guerra, che, cercando di aiutare la madre ad uscire da un mondo di silenzio ed
incubi, verrà a conoscenza delle atrocità subite da Ajla e potrà riflettere su
un passato che le si para davanti in modo prepotente. Alina, infatti, non ha
mai saputo quale fosse la provenienza della madre che, per una sorta di
protezione nei confronti della figlia, si è rinchiusa in un ostinato mutismo.
Un silenzio che serve a coprire gli orrori del conflitto e allo stesso tempo è
un urlo disperato di aiuto. Il rapporto tra le due è simbiotico e per Alina,
affermata artista del ricamo che risiede ed espone le proprie opere a New York,
la casa è Parigi, città che l’ha accolta tra profughi e clochard. Per la
ragazza, che per anni ha vissuto con la madre per le strade, la città sulla
Senna è un simbolo di riscatto perché le ha dato un’infanzia povera, ma ricca
di rapporti umani. Grazie all’incontro con l’amata/odiata Marie Adele che ha
adottato lei e la madre ha potuto studiare e realizzarsi, sentendosi comunque
un po’ diversa e speciale. Il crollo psichico di Ajla porterà Alina a
riflettere su i valori della famiglia e dei rapporti umani in genere, scoprendo
pian piano il passato della madre in dialogo fatto di gesti, ma anche di incubi
rivissuti da Ajla che il lettore può conoscere: la distruzione della famiglia
d'origine, gli stupri, la scoperta della maternità, la lunga fuga fino al campo
profughi di Cervignano, prima vera tappa di umanità in questa moderna Via
Crucis, e, infine l’approdo a Parigi, città che permette a lei e la figlia di
far parte di un sogno. Il sogno di una donna forte che come Santa Genevieve,
patrona della città raffigurata come statua sul Pont De la Tournelle, si erge
contro le avversità e, come recita il motto cittadino, “seppur sbattuta dalle
onde, non affonda”.
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