Può l’ombra del doping
insinuarsi anche in un’attività che non fa di certo girare cifre milionarie
come il ciclismo femminile? A leggere “Il ciclismo nel sangue” (Ediciclo)
scritto da Paola Turcutto assieme alla giornalista Elisa Cozzarini il dubbio è
più che lecito. Ma ridurre la storia raccontata ad un puro affare di sostanze
illecite sminuirebbe di molto la vicenda raccontata nell’agile libro. In
effetti tra le pagine c’è molto di più: l’insegnamento che anche un outsider
può ottenere risultati incredibili tramite talento, ma soprattutto passione,
volontà ferrea, sacrificio ed abnegazione, senza per questo derogare ai propri
principi etici e morali.
E’ la storia della cividalese Paola Turcutto,classe
’65, che inizia a pedalare nella polisportiva del proprio paese e affianca al
ciclismo il duro lavoro in fabbrica dove carteggia mobili. La carriera è
fulminante e i sacrifici crescono in maniera direttamente proporzionale, anche
perché Paola,a differenza delle proprie avversarie, non vive di solo ciclismo e
non ha una squadra strutturata alle spalle. Ma ha persone che la capiscono e la
spronano e quindi arrivano le prime soddisfazioni con le partecipazioni al Giro
D’Italia, al Tour De France e le convocazioni in nazionale con la quale
partecipa ai Mondiali nel 1990. Raccoglie titoli nazionali: nel 1992 a
cronometro su strada e poi passando prima alla mountain bike (’94 – ’95) e al
ciclocross (’96 – ’97 –’01). Quando corre in MTB diventa la ragazza immagine
del Team Bianchi diretta da un mito come Felice Gimondi. Ma dietro l’apparenza
scintillante si celano invidie, consulti con i medici, come il discusso dottor
Michele Ferrari, noto per aver seguito tra gli altri anche Lance Armstrong, e
le proposte più o meno esplicite di prendere aiutini chimici perché “lo fanno
tutti, il ciclismo funziona così. Altrimenti non varai speranza”. E quindi la
delusione di non essere stata convocata alle Olimpiadi di Atlanta nonostante
fosse campionessa italiana in carica e bronzo mondiale. E qualche retro
pensiero inevitabilmente nasce. Ma, nonostante tutto, la passione di Turcutto
per tutte le forme di due ruote e gli sport di fatica in genere è immensa e
viene affrontata ripetendosi il mantra imparato dalla nonna “Male non fare,
paura non avere”. Un libro che vale la pena di leggere assieme a “Donne in
bicicletta” di Antonella Stelitano e “Lo sport del doping” di Alessandro
Donati. Due libri diversissimi, ma con i quali condivide diversi spunti e
riflessioni.
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