La bicicletta ha davvero contribuito a cambiare i costumi e a favorire
l'emancipazione femminile? A porsi la domanda è Antonella Stelitano,
giornalista trevigiana molto attiva nel mondo sportivo. Membro della Società
Italiana Storia dello Sport e del Comitato Fair Play, è anche stella di bronzo
al merito sportivo del CONI. Stelitano ha dato alle stampe per Ediciclo
“Donne in bicicletta – Una finestra sulla storia del ciclismo femminile in
Italia” che è una piacevole e documentatissima ricognizione sull'evoluzione del
ciclismo in rosa dagli albori ai giorni nostri, capace anche di conquistare il Premio Bancarella Sport. Una lettura che unisce
l'evoluzione del costume alla parte agonistica, riportando le storie, tramite
interviste o i ricordi, delle protagoniste. Un valore aggiunto è quello che a
scrivere sia (“Finalmente!” verrebbe da dire) una donna completando una visione
che in genere è parecchio “maschiocentrica”, se si accettuano alcune lodevoli
eccezioni come Anna Maria Ortese che però per svolgere il suo reportage sul
Giro d'Italia del '55 fu costretta a camuffarsi da uomo perchè l'evento era
vietato alle donne... Stelitano, dicevamo, traccia la storia del ciclismo femminile in Italia
partendo dalla fine del diciannovesimo secolo, quando usare la bicicletta era
per le donne una cosa quasi scandalosa, ma fu fondamentale per l'emancipazione
del costume. A leggere oggi certi serissimi articoli dei maggiori quotidiani
dell'epoca si tende a sorridere per i termini utilizzati, ma ci si rende conto
della rivoluzione attuata dalle prime coraggiose “biciclettiste”. Dopo le due
guerre mondiali e il boom economico l'immagine della donna su due ruote cambia
radicalmente. Pedalare per raggiungere il luogo di lavoro è ben visto e
consigliato, ma le gare sportive sono ancora un tabù riservato agli uomini. Ad
infrangere tutte le regole ci pensa una coraggiosa romagnola, Alfonsina Strada,
che nel 1924 si presenta al Giro D'Italia e lo conclude. Negli anni 50' e 60'
iniziano le prime gare dedicate solo alle donne e ci sono le prime cicliste che
raggiungono un minimo di notorietà, anche se i budget non sono a livello delle
squadre maschili e nelle cronache vengono sempre nominate con la qualifica
relativa al loro lavoro (“La mamma volante”, “La sarta bergamasca”). Ad entrare
come un ciclone nel mondo dei media ci pensò una ex sciatrice di fondo, Maria
Canins, che nell' 81 a 32 anni decise di dedicarsi al ciclismo e vinse due Tour
De France ('85 e '86) e la prima edizione del Giro D'Italia Donne ('88). A
seguirla la ciclista più vincente di sempre, Fabiana Luperini che ha in bacheca
5 Giri D'Italia e 3 Tour de France, senza dimenticare gli ori olimpici in pista
di Antonella Bellutti e nella mountain bike di Paola Pezzo. Ma nonostante un
movimento in crescita il ciclismo femminile non riesce ad ottenere attenzione
mediatica e neanche compensi minimamente comparabili ai colleghi maschi. Il '97
è stato un anno d'oro con Luperini, Bellutti, Pezzo e Cappellotto sul tetto del
mondo, ma il ciclismo femminile fatica a trovare sponsor da allora. Nonostante
tutto le due ruote sembrano essere sempre il mezzo ideale per lottare per la
parità di genere e l'estensione dei diritti
Grazie per questa recensione. Sono passati 5 anni dalla pubblicazione e leggere che a qualcuno il libro è piaciuto fa sempre piacere. Ringrazio a nome di tutte le donne di cui ho raccontato le storie. Raccoglierle non è stato facile, ma non raccontarle sarebbe significato dimenticarle per sempre. Perchè è questo quello che succede spesso nello sport femminile. Grazie dunque a nome di tutte le donne del libro
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