venerdì 10 gennaio 2025

Vento di terra - Paolo Rumiz

L’Istria è un triangolo rovesciato che punta dritto sul Mare Adriatico. Un luogo geografico che è da sempre crocevia di lingue, popoli e culture. Paolo Rumiz reporter di razza con esperienza sul campo nell’Ex Jugoslavia e successivamente in Pakistan e Afghanistan ha spesso scritto e raccontato le sue esperienze di viaggio sia per lavoro che per diletto. Nel 1994, in pieno conflitto balcanico pubblicò “Vento di Terra – Istria e Fiume appunti di viaggio tra i Balcani e il Mediterraneo” che viene riproposto ora da Bottega Errante Edizioni con prefazione di Fulvio Tomizza. Ma qual è il significato di ripubblicare quest’opera, concepita in piena guerra balcanica, un quarto di secolo dopo? Il motivo principale, crediamo, sia quello che nei quattordici racconti che compongono l’opera , si respira un’aria di incontro di culture e lingue che, in un’epoca nei quali soffia forte il vento sovranista e si tendono a riproporre muri divisivi e steccati, possono rappresentare uno “spazio di collaudo per l’Europa”.

In questa terra si sono susseguite diverse dominazioni partendo dai veneziani, continuando con gli Asburgo e finendo con l’unione titina. Eppure è chiaro ascoltando le persone che Rumiz ha incontrato nel proprio viaggio che quello istriano pur avendo vissuto momenti tragicissimi sia un luogo tutto particolare. Innanzitutto perché nonostante sia formalmente diviso da quando il valico di Sicciole e il Fiume Dragogna hanno decretato la “spartizione” della regione tra Slovenia e Croazia, viene comunque percepito come un unicum geografico e culturale. In secondo luogo perché al suo interno “cittadinanza e nazionalità possono tranquillamente non coincidere” rafforzandosi anzi nell’interazione tra le loro diversità”. Non sarà quindi difficile trovare dei Susic o dei Babic che si sentono perfettamente italiani come dei Padovan piuttosto che degli Zonta che parlano solo croato. Un insieme di culture che porta alla mente  quello che era Sarajevo. E infatti par di capire che i profughi bosniaci si adattino benissimo a questa terra. Qual è stata allora la differenza tra il multiculturalismo istriano e quello bosniaco?  Forse proprio il carattere degli abitanti della penisola “È la politica che semina zizzania – scrive Rumiz - , dice la gente di qui, ed è per questo che l’istriano, da sempre, mette la coda fra le gambe, si chiude nel privato di casa sua, e lascia che siano gli altri a fare da padroni. L’istriano, per esempio, non farà mai il poliziotto, quasi a rimarcare la distanza enorme fra lui e il potere. Distanza che Zagabria oggi banalizza come “comunismo” e ieri schedava, con antitetica semplificazione, come scarsa fede comunista. La differenza esiste da sempre. La contrapposizione dura, invece, è a sua volta frutto della zizzania, di incomprensioni politiche e lotte di potere che non toccano la gente semplice”. L’Istria per Rumiz è un’affascinante utopia, capace di essere un coacervo di contraddizioni essendo al tempo stesso un’antitesi alla balcanizzazione, ma anche un contenitore del vecchio Jugoslavismo. Una frontiera necessaria, vitale e da preservare. Un luogo magico «Chiudo gli occhi e ne sento l’odore. Salvia, santoreggia. Fichi. Bietole all’aglio. Brughiera. Salsedine. Istria. Inconfondibile. Refrattaria all’idea di nazione, che le ha portato solo sventura. Terra di mezzo. Spazio di incontro. Le hanno inflitto una guerra. L’hanno divisa con un nuovo confine e crocefissa con reticolati. L’hanno fraintesa in tutti i modi. L’Istria eterna non molla. Il profumo rimane. L’Istria è il suo profumo».

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