Nel periodo di fine ottocento - inizio novecento queste costruzioni modificano sostanzialmente l’ambiente, ma anche le abitudini delle vallate che le ospitano. Basti pensare al caso della Valcellina, che come ben documentato dal poeta del luogo Giuseppe Malattia della Vallata, ha ottenuto grazie all’impianto idroelettrico una strada che l’ha in pratica tolta dall’isolamento totale. Le centrali più piccole, inoltre, venivano pensate in un modo architettonicamente piacevole oltre che funzionale, per inserirsi in maniera armonica nell’ambiente circostante. Prova ne è il fatto che tante costruzioni del periodo venissero realizzate seguendo i dettami dello stile Liberty. Ora queste centrali dismesse sono state riconvertite in eco musei (e il caso di quella di Malnisio, ad esempio) proprio per le loro particolarità architettoniche e strutturali. Ma qual è il futuro dell’idroelettrico? Gli autori fanno notare come ci sia un ritorno a piccoli impianti. Resta da chiedersi se questi siano necessari e, soprattutto ecologicamente sostenibili. Altre pubblicazioni locali (come ad esempio il saggio del 2018 della giornalista pordenonese Elisa Cozzarini “Radici Liquide” edito da Nuovadimensione) sono critiche in merito. Chinellato e Petriccione fanno notare in maniera scientifica come questi impianti non solo cambino la portata del fiume, ma anche la qualità dell’acqua rendendola gelida, sterile, priva di minerali e non ossigenata con conseguenze immaginabili per flora e fauna.
giovedì 9 gennaio 2025
Vie d'Acqua e e ambiente costruito - Francesco Chinellato e Livio Petriccione
L’uomo, per sua natura, ha sempre costruito ed abitato vicino all’acqua. In territorio friulano
l’idea dello sfruttamento delle rogge e la costruzione di canalizzazioni risale
già all’epoca romana. In seguito c’è stato lo sviluppo dei mulini e solo alla
fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento si è passati alla costruzione di
una nuova tipologia di edifici legati allo sfruttamento delle acque per scopi
connessi all’industria e alla produzione di energia. Dapprima si sono pensate
centrali idroelettriche di piccole dimensioni e, in questo senso illuminanti
sono state le intenzioni e le opere di Arturo Malignani, per poi passare a
centrali più grandi che trasportassero l’energia anche a fini commerciali. Per
indagare sull’evoluzione del fenomeno Francesco Chinellato e Livio Petriccione,
rispettivamente professore associato e dottore di ricerca alla facoltà di
Architettura dell’Università di Udine, hanno dato alle stampe “Vie d’acqua e
ambiente costruito. Le prime centrali idroelettriche in Friuli Venezia Giulia”
(Forum Editrice Universitaria Udinese). L’opera, nata come progetto di ricerca
in un’indagine di carattere nazionale, ha assunto connotati regionalistici ed
ora ha preso forma di inchiesta sulle funzioni produttive, ma anche sui ruoli
simbolici e sugli elementi di novità architettonica che questi nuovi edifici
hanno portato nell’ambiente che li ospita. In particolare sono state prese in
esame tre centrali ora dismesse che insistono sull’asta del fiume Cellina
(Malnisio, Giais e Partidor), ma il libro, dotato di ricchissimo apparato
fotografico e progettuale presenta anche le schede di ognuna delle 13 centrali
idroelettriche ancora presenti tra le province di Pordenone e Udine.
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