Quello della privatizzazione dei servizi idrici è un tema caldo e dibattuto sia dalla
politica locale che da quella nazionale. Per quale mercato c'è posto in questo
settore? Quali sono i limiti? Quali le regole? E, infine, quale ruolo deve
assumere il soggetto pubblico? A cercare di far chiarezza ci prova Antonio
Massarutto nel suo “Privati dell'acqua? - Tra bene comune e mercato” (Il Mulino)
nel quale, dopo aver delineato la situazione legislativa italiana e le
esperienze statali e private estere, cerca di individuare una terza via che si
tenga distante sia da chi pensa che l'ingresso dei privati sia una
mercificazione di un diritto che da coloro che lo beatificano a prescindere,
ritenendo la parte pubblica un carrozzone inefficiente e corrotto. Lo scopo del
libro è quello di dimostrare che si può e si deve modernizzare senza
mercificare, trasferendo l'onere alle tariffe senza negare diritti o creare
esclusione sociale. Si parla non di acqua come risorsa o “oro blu”, ma di
servizi idrici che si occupano di approvigionamento, distribuzione e
depurazione. Il privato deve essere coinvolto in questi servizi e non nello
sfruttamento della risorsa. Deve essere un idraulico che fa funzionare il
sistema di depurazione e distribuzione. Il profitto non deve essere un male, ma
un premio allo sforzo imprenditoriale per migliorare il servizio e ridurre il
costo per il cittadino. Come riuscirci? Sicuramente non con mezzi speculativi,
ma neanche erogando acqua gratis. In questo modo si disincentiva il risparmio e
si apre alla dissipazione. In fondo se la situazione è delicata la causa risale
ad anni di cattiva gestione di risorse e servizi che ora stanno presentando il
conto. Come uscirne senza essere privati dell'acqua? Il dibattito è aperto.
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