E “Figlia della cenere” della gemonese Ilaria Tuti, pubblicato da Longanesi, farà addentrare i lettori proprio nella complessa vicenda umana del commissario Teresa Battaglia, personaggio affascinante e complesso che cattura per la propria personalità.
Teresa va a trovare regolarmente in carcere il serial killer Giacomo Mainardi, catturato da lei stessa 27 anni prima, in una vicenda nella quale vita professionale e problemi personali sono divisi da confini molto tenui e sfumati. Giacomo, da adolescente problematico e bullizzato, escluso sostanzialmente dai rapporti con i propri coetanei a causa di una malformazione, il petto incavato, che gli fa credere di essere “senza cuore”, viene abbandonato anche dal padre e scarica tutta la sua rabbia trasformandosi in assassino seriale con un particolare modus operandi che mette assieme le sue ossessioni e le sue abilità nell’arte del mosaico.
Catturato da Teresa, mantiene con lei un rapporto stretto anche dal carcere perché entrambi condividono zone d’ombra e dolori nascosti al mondo. Dopo tanti anni, però, Giacomo appare spaventato e sembrano riaprirsi scenari e ossessioni di ventisette anni prima. Ma chi spaventa colui che di solito spaventa gli altri? Da queste premesse prende le mosse “Figlia della cenere” ovvero quella che appare come l’ultima e definitiva indagine di Teresa Battaglia, quella che dissipa (forse) tutti i nodi irrisolti della sua esistenza prima che la malattia faccia scomparire i suoi ricordi e la sua fervida intelligenza nell’oblio. La Tuti organizza come al solito un meccanismo narrativo raffinato e perfettamente oliato che mette assieme tre piani temporali differenti: quello attuale, quello risalente agli anni ’90 e addirittura uno risalente al IV° Secolo. Il trait d’union è rappresentato dalla Basilica di Aquileia. Dopo i boschi del tarvisiano del romanzo d’esordio, la Val Resia di “Ninfa Dormiente” e il Collio di “Luce della notte” un altro luogo del Friuli che con le sue suggestioni ispira la narrazione. In questo caso è il pavimento musivo paleocristiano, il maggiore di tutto l’occidente, a giocare un ruolo decisivo. Come le sette e comunità cristiane gnostiche, che dovevano mimetizzarsi e utilizzare la clandestinità per continuare la loro ricerca di conoscenza e salvezza, la Tuti inserisce Teresa in una accattivante storia poliziesca mettendo però sotto la superficie temi importanti come la violenza fisica e psicologica sulle donne, le disuguaglianze di genere in campo lavorativo e la delicata questione della maternità negata o rifiutata. E lo fa bene come un mosaicista del quarto secolo che nasconde sotto le tessere colorate e la loro simbologia messaggi nascosti e più profondi che spesso contrastano con quella che può essere l’ideologia dominante.
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