Questo romanzo ha permesso, per qualche insondabile motivo, oltre al fatto di essere scritto bene, che scattasse in me un’irrefrenabile curiosità e la voglia di approfondire e saperne di più. Per quello una volta terminata la lettura ho iniziato a guardare video tematici perchè volevo capire bene cosa fosse il Khumbu Icefall e perchè, ad esempio, il K2 fosse unanimemente considerato molto più difficoltoso da scalare rispetto all’Everest. Ho preso confidenza con seracchi, traversi e nomi mitici come la Piramide Nera, il Collo di bottiglia o l’Hillary Step. Ho iniziato a divorare film documentari sui vari alpinisti (Messner, Kammerlander, Ueli Steck) e a leggerne le loro storie o ascoltare le loro interviste (quelle riguardanti, ad esempio, la tragica storia di Daniele Nardi e la sua ossessione per lo Sperone Mummery sul Nanga Parbat dalla quale è stato recentemente tratto L’ultima Vetta). Non so spiegare questa fascinazione che tuttora persiste anche se leggere e raccontare storie mi è sempre piaciuto.
L’Everest è la cima più alta della Terra. Ma non è solo questo. Per i
locali è Sagarmatha ovvero il Dio del cielo, il luogo del grande
mistero, il regno di coloro che attendono. Per gli occidentali che
invece ne tentano la scalata talvolta può essere solo una medaglia da
appuntarsi al petto. Da questa commistione di Oriente e Occidente, di
spiritualità e ricerca della calma, contrapposta ad un iperattivismo che
punta ad emozioni forti, parte “Gli eroi invisibili dell’Everest” dello scrittore, giornalista e alpinista triestino Dusan Jelincic.
Jelincic,
che fa parte della redazione di lingua slovena della Rai regionale, è
un alpinista non banale, avendo scalato, primo alpinista della regione,
un Ottomila, il Broad Peak, cima gemella del K2 nel massiccio del Karakorum nel 1986 e poi il Gasherbrum II nel 2003. Nel 1990 ha partecipato alla spedizione Alpe Adria Sagarmatha, finanziata dalla Regione con l’obiettivo di raggiungere la vetta dell’Everest.
Questa esperienza e questa fortissima passione traspaiono già dalle
prime pagine del romanzo, che racconta di una spedizione americana che
desidera conquistare la montagna più alta al mondo. Il capo spedizione Paul Lake e il suo amico Mark Curran
hanno però anche una motivazione ulteriore: cercare le tracce di due
loro amici, Tony e Jim, misteriosamente scomparsi a pochi metri dalla
vetta in una precedente spedizione. Nel libro si intrecciano anche le
diverse pulsioni che spingono ad arrampicarsi e a raggiungere il tetto
del mondo: l’arrivismo sportivo e materiale degli scalatori più giovani contrapposto all’approccio spirituale degli sherpa
che non solo portano il materiale, ma preparano il percorso ai turisti
occidentali che affollano le vette himalayane. Risalta la figura dello
Sherpa Ang Temba, il re dell’Icefall, ovvero colui che fissa le corde e
piazza le scale sui crepacci del Khumbu Icefall, la zona più pericolosa
dell’ascensione composta da una cascata di ghiaccio e seracchi.
Seguendo le parole di Jelincic ci si emoziona come se si stesse veramente affrontando la spedizione. Ma Gli eroi invisibili dell’Everest non è una guida per alpinisti. Il plot si sviluppa attorno al mistero della scomparsa degli escursionisti, all’apparizione di Mallory e Irvine, due alpinisti che potrebbero aver raggiunto la vetta nel ’24, ben trent’anni prima di Hillary e Tenzing Norgay,
ma che poi sono morti nella discesa senza lasciar prove del loro
successo. Sono loro gli eroi invisibili, quelli che hanno conquistato la
vetta e si sono resi conto che nulla avrebbe potuto raggiungere quella
forza e che tutto, a valle, con le sue passioni, ma anche con le sue
grettezze, sarebbe risultato molto più banale
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