giovedì 20 febbraio 2025

La cicala di Belgrado - Marina Lalovic

Settembre 2000. La Serbia è reduce da anni durissimi fatti di sanguinosa guerra civile ai quali sono seguiti un embargo e i bombardamenti NATO. Ma di lì a poche settimane cadrà per sempre il regime di Slobodan Milosevic. Un evento al quale la diciannovenne belgradese Marina non potrà assistere di persona perché impegnata in un trasferimento decisivo, quello che la porterà a frequentare l’Università in Italia, a Perugia. Marina è Marina Lalovic, giornalista che attualmente fa parte della redazione esteri di Rainews24 e collabora con Radio Rai 3. Il suo “La Cicala di Belgrado” (Bottega Errante) è un libro complesso nella sua semplicità perché racconta una città in maniera molto emozionale ma, allo stesso tempo, con la razionalità di chi ne può osservare i cambiamenti e le trasformazioni da lontano. Infatti la Lalovic vive stabilmente a Roma e ormai ha passato più anni all’estero che nella città d’origine. Il ritratto che nasce della “Città bianca” è ovviamente parziale e personale, ma forse per questo molto più godibile. Belgrado appare come una città ricca di contraddizioni e sfumature contrastanti. Il suo carattere di commistione tra elementi ottomani e austroungarici è ovviamente evidente. C’è parte di mentalità balcanica nel quale fare i perdigiorno e bere caffè nelle kafane è una cosa necessaria alla quale si affiancano il razionalismo e il “Bratstvo i jedinstvo” (Fratellanza e unità) del socialismo jugoslavo in salsa titina.

E’ bello perdersi nelle pagine della Lalovic così come lo è fare altrettanto in quelle di Andric quando descrivono i loro posti del cuore della capitale serba: la fortezza del Kalemegdan, il quartiere di Čubura e le sponde dei due fiumi che attraversano la città, la Sava e il Danubio, che rappresentano la zona del divertimento belgradese.
Ma, in fondo, “La cicala di Belgrado” è una riflessione sullo sradicamento di un popolo costretto ad emigrare e che ha visto cadere tutte le certezze sulle quali aveva vissuto e con le quali deve fare ancora i conti sentendo l’esigenza di fare dei distinguo e di far capire che l’equazione “serbo uguale nazionalista” non è automatica. La Lalovic ha un deja vu quando vede durante il recente lockdown le persone affacciate ai balconi. La stessa cosa succedeva all’ora del telegiornale a Belgrado quando negli anni ’90 le persone uscivano e battevano pentole e coperchi per esprimere contrarietà al regime e all’informazione pilotata. In entrambi i casi “Andrà tutto bene” è stato un auspicio che non sempre si è realizzato compiutamente. Ma quella di Marina non è stata una fuga. Belgrado è sempre dentro di lei, come accade a coloro che, nati sulla costa, conservano con sé il mare. Al ritorno a casa la sua madeleine proustiana è rappresentata dalle stazioni radio che trasmettono ancora le canzoni degli anni ’80 e ’90 quelle della sua adolescenza. Ma il cambiamento non la spaventa e anzi è una condizione necessaria per migliorare. Così come sta cercando di fare Belgrado. Non avere punti di riferimento fissi in fin dei conti è comodo perché permette di vivere guardando con animo sereno i propri pregi e difetti. Tenendo con sé il tempo vissuto e le emozioni provate.

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