Come è nata l’idea di una autobiografia di Bryant?
“Gli editori avevano già letto “Ventiquattro secondi” e ne avevano apprezzato l’impostazione: una vicenda sportiva che avesse però anche una forte componente umana. Mi hanno proposto di lavorare su un progetto simile. Su Kobe erano già state scritte un sacco di cose ed era difficile aggiungere qualcosa sul versante della cronaca o degli aneddoti. Abbiamo cercato di non fare una cosa particolarmente allineata come poteva essere un instant book che un giornalista sportivo avrebbe potuto produrre in poche settimane con materiale d’archivio. Dopo una fase iniziale di esaltazione, sono stato anche spaventato perché è stata una bella responsabilità. Mi sono documentato e ho cercato di indagare le zone meno esplorate della sua complessa personalità. Alla fine, pur rispettando la realtà, ho cercato di descriverlo come se fosse stato un mio personaggio."
Che differenza c’è stata tra il rendere Kobe un personaggio da romanzo e il personaggio Cicuttini una persona reale?
“Credo ci sia un punto di risonanza tra i due libri. Con Vittoriano potevo inventare la personalità ed inserirla in un contesto. Kobe aveva invece una personalità definita e ho cercato di esplorare quello che di lui non era ancora stato scritto. La cosa più complicata è stata trattare con delicatezza ed equilibrio le questioni più spinose come le vicende giudiziarie o familiari”
In entrambe le opere, oltre che di amore per il gioco e per il raccontare storie, ci sono moltissime ed esplicite citazioni letterarie. Parafrasando Mourinho “Chi sa solo di basket non sa niente di basket”?
“Essere appassionato di letteratura per me significa poter vivere delle vite diversa dalla mia. Senza aver letto determinati libri non sarei stato in grado di raccontare certe storie od esprimere certe emozioni e sensazioni. In “Ventiquattro secondi” c’era la letteratura che più amavo. In “Kobe” mi si era aperta una porta: raccontando la sua storia mi venivano automaticamente in mente richiami letterari. Io ho la mania di avere un archivio nel quale tengo le citazioni dei passi che ritengo significativi dei libri che ho letto. Mentre scrivevo aumentavano le suggestioni che spaziavano dalla mia grande passione per la letteratura americana fino ad autori nostrani come Zanzotto o Villalta. Alla fine ne ho citati una trentina in questo che è un gioco letterario, ma che credo dia anche sostanza al libro”
C’è un episodio che non conoscevi e ti ha emozionato particolarmente?
“Sicuramente la partita d’addio. Kobe dall’inizio della sua carriera alla fine è stato per noi quasi coetanei ed appassionati di pallacanestro una sorta di fratello maggiore. L’ultima partita di solito si risolve in una passerella, ma lui la prese molto seriamente segnando sessanta punti e mettendo in mostra, in una partita che contava poco o niente, ancora una volta quella che era la mentalità competitiva ed auto esigente che ne ha tracciato la carriera”
Perché vale ricordare la sua figura?
“Il messaggio forte è quello di una persona che, anche se spesso in maniera ossessiva, ha cercato di sviluppare al meglio il proprio talento per raggiungere i propri sogni ed obiettivi. E non bisogna dimenticarsi che a fine carriera Bryant si è dedicato ad aiutare gli altri a seguire la sua strada, Quindi non solo avere un grandissimo atteggiamento per esprimere al massimo le proprie potenzialità, ma cercare di insegnare agli altri, con l’esempio, che questa è una cosa possibile”
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